Recensione: Souls of Black
“Souls Of Black” esce nel 1990 e arriva dopo un terzetto di classici (più un mlp live) che hanno definitivamente consacrato i Testament a livello internazionale. Le aspettative per il disco in questione sono all’epoca moltiplicate all’annuncio di un mostruoso festival itinerante – il Clash Of The Titans – che avrebbe portato i più amati gruppi della scena thrash sui palchi di America e Europa (il bill nel Vecchio Continente era capeggiato da Slayer, Megadeth, Testament e Suicidal Tendencies): non a caso, c’è chi afferma che questo capitolo sia stato scritto e registrato in fretta e furia pur di proporre materiale inedito nella set list della tournée, nonostante quest’ipotesi sia stata smentita a più riprese dal leader della band, Eric Peterson.
“Souls Of Black” è anche – a giudizio di chi scrive – l’ultimo album degno di nota composto dalla formazione classica dei Testament, prima del controverso “The Ritual” che ha preceduto lo split con lo storico axeman Alex Skolnick e ha spinto la band sull’orlo della crisi.
Il songwriting, solitamente affidato alla premiata ditta Skolnick-Peterson, vede qui una partecipazione attiva di tutto il collettivo, con spunti notevoli di Clemente e, addirittura, di Billy, che si occupa – come di consueto – dei testi.
La splendida intro intitolata inequivocabilmente “Beginning Of The End” (courtesy of Eric Peterson) apre le danze ed è il preludio a uno dei pezzi forti, l’opener “Face In The Sky”, un brano che senza dubbio riassume bene le peculiarità dell’album: un sound tutto sommato più classico rispetto al precedente, ottimo “Practice What You Preach”, ritmi non troppo sostenuti (anche se non mancano potenti accelerazioni come nel caso di “Falling Fast”) e il possente Chuck Billy in gran forma a ruggire dietro il microfono. È il caso di evidenziare, in questo contesto, la memorabile prestazione di Skolnick, che incanta con il suo solismo suggestivo e inconfondibile: una delle ragioni per cui, nonostante il materiale proposto non sia originalissimo, il disco merita attenzione.
La perla dell’album è senza dubbio la celebre title-track, uno dei classici del repertorio live dei Testament: introdotto dall’ipnotico basso di Christian, il brano sfocia in un mid-tempo groovy e roccioso, dominato dal profetico vocione di Billy, qui profondamente impegnato nel sociale. La track-list si attesta per il resto su discreti livelli, alternando episodi convincenti (“Absence Of Light” o “Malpractice”, la cui ritmica portante fa il verso a certi riff dei Megadeth) ad altri meno riusciti (“Love To Hate”, che soffre di passaggi già sentiti, o “One Man’s Fate”, che spicca solo per l’interessante testo).
L’altro capolavoro di “Souls Of Black” è dietro l’angolo, e si intitola “The Legacy”, una splendida ballad che farà il paio in futuro con “Return To Serenity”: uno struggente assolo di Skolnick accompagna la calda voce di Billy, per un bellissimo pezzo dal sound avvolgente che solo in determinati frangenti recupera le coordinate stilistiche generali (il chorus conclusivo). Stupendo.
Chiude l’album la rabbiosa “Seven Days Of May”, interessante pezzo anch’esso coinvolto in tematiche sociali (non dimentichiamoci che il vocalist Billy da lungo tempo combatte contro le ingiustizie subite dalle comunità indiane negli Stati Uniti, di cui è diretto discendente).
Una nota dolente è, per l’ennesima volta, la grezza produzione che impasta il suono delle due chitarre e della batteria di Clemente, un dato negativo se rapportato soprattutto all’epoca (siamo nel 1990) quando finalmente le gesta dei gruppi più blasonati (Sepultura, Pantera, Dark Angel, Metallica, tanto per fare qualche esempio) erano valorizzate da suoni all’altezza.
Nel complesso si parla di un album, che, pur non raggiungendo i livelli toccati dalle releases precedenti (specie se si parla di capolavori come “The Legacy” o “The New Order” che hanno fatto la storia del genere), si segnala come una prova di buon livello, che farà le gioie dei Testament-fans ma potrà interessare anche chi non è patito di queste sonorità. Resta il fatto che forse dal five-piece di San Francisco ci si sarebbe aspettati qualcosa in più, ma il gruppo ha comunque classe da vendere ai numerosi e agguerriti colleghi. Buon ascolto.
Track list:
1. Beginning Of The End (instrumental)
2. Face In The Sky
3. Falling Fast
4. Souls Of Black
5. Absence Of Light
6. Love To Hate
7. Malpractice
8. One Man’s Hate
9. The Legacy
10. Seven Days Of May
Line-up:
Eric Peterson rhythm & lead guitar
Alex Skolnick lead guitar
Chuck Billy vocals
Louie Clemente drums
Greg Christian bass guitar