Recensione: Sound Of The End
«… ogni 5 secondi cannoni da assedi sventrare
spazio con un accordo tam-tuuumb
ammutinamento di 500 echi per azzannarlo
sminuzzarlo sparpagliarlo all’infinito
nel centro di quei tam-tuuumb
spiaccicati (ampiezza 50 chilometri quadrati)
balzare scoppi tagli pugni batterie tiro
rapido violenza ferocia regolarità questo
basso grave scandire gli strani folli
agitatissimi acuti della battaglia furia affanno
orecchie occhi
narici aperti attenti
forza che gioia vedere udire fiutare tutto
tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare
a perdifiato sotto morsi schiafffffi traak-traak
frustate pic-pac-pum-tumb bizzzzarrie
salti altezza 200 m. della fucileria…»
(Filippo Tommaso Marinetti – Zang Tumb Tumb)
Filippo Tommaso Marinetti, baluardo dell’avanguardia futurista, pubblica quest’opera nel 1914, ispirato dalla guerra bulgaro-turca cui ha assistito da inviato nel 1912. Avvalendosi di peculiari caratteri di stampa (anticipa il fumetto) e delle ‘parole in libertà’, il poeta ricusa non solo la grafica tradizionale, ma la stessa sintassi. Abolisce articoli, avverbi, aggettivi, segni d’interpunzione, ritenuti impedimenti per un dinamico fluire, utilizza verbi all’infinito e termini onomatopeici per riprodurre i fragori della guerra. Una contaminazione di forme espressive da declamare, udire, vedere. Panta rei incessante, flusso, velocità, rumore, tumulto, molteplicità, pluralità. Sfaccettature del mondo moderno che diventano arte in una rottura totale con le norme vincolanti.
Con questo proemio all’insegna dell’anarchia vi introduco ai Mephistopheles, band ‘singolare’ che insieme a Psycroptic, Ulcerate (ultimo, il gioiello “Vermis”), Veiled In Flesh ecc infoltisce la bislacca famigliola di deathster australiani. I Nostri, a sette anni da “Ascension Aborted”, tornano in pista con questo “Sound Of The End” targato Willowtip, una label che da più di un decennio ingaggia band ‘bizzarre’ fuori dai canoni e fuori di testa (vedi la lunga lista di discepoli quali Malignancy, Gigan, Defeated Sanity, Illogicist, Vile, Wormed, ecc capaci di esprimersi con originalità e una sana dose di follia).
Il full length in questione è un concentrato di eccentricità, istrionismo, eclettismo, con un fascinoso retrogusto che ci trasforma in sommelier, incerti sull’annata del vino, ma che continuano a berne. Strabordante è l’entusiasmo del vocalist Matthew Chalk: «Non sono mai stato più felice in una delle mie band nel corso degli anni come nei Mephistopheles. Quello che abbiamo messo insieme è il più fresco, vivo, soddisfacente progetto musicale di cui io abbia mai fatto parte e non vedo l’ora di mostrare al mondo che i Mephistopheles sono qui, abbiamo qualcosa di nuovo da dire e facciamo sul serio!».
Lontani dalle più cerebrali e maniacali strutture del technical death, i Mephistopheles disegnano riff non sempre complessi nella loro conformazione ma originali nel loro incontrarsi, intrecci progressive a tratti maculati di psichedelia, ghirigori cacofonici, stridenti acuti noise, si sposano felicemente con le atroci digressioni groove blackened death, irridendo tempi musicali e pattern canonici. Break improvvisi, mid-tempo, blast distruttivi, preludono ad un ritorno a divagazioni melodiche ricercate e accenni di dialogo. Ben Lawless consacra infatti, il misterioso gioco del suono basato sul contrasto degli elementi, ove le strutture più granitiche di matrice oscura, sono il guscio d’una evidente velleità melodica sempre pronta ad affiorare, e che può talvolta risultare stucchevole quanto attraente. Chalk, addolcito dai radi clean di Lawless (Spawn Of Possession), è l’Efesto del growl, percuote il metallo incandescente della sua tonalità, rendendola materia istericamente malleabile, graffianti e corrosive acidità del black e richiami catramati, infernali e catacombali del death si incrociano, si confondono, fino a compenetrarsi.
Il rapporto antinomico tra l’asprezza modulata del growl e l’ariosità melodica a tratti eterea del guitarwork, in track come “Silver Doors”, “Soldiers Of The Endtime”, “Battle Of The See And Sky”, “The Great Orbs Beyond Our Skies”, “The Siren Of Eternity”, ci tiene a mezz’aria sospesi, tra l’azzurra salvezza degli squarci di cielo e le fauci del Leviathan riemerso dalle acque. Sam Dowson, rallegrato e giulivo come Edward mani di forbice catapultato nei giardini di Buckingham Palace, si esibisce in una performance colorita che comprende sfuriate, break imprevisti e frastagliati, contro tempi, docili accompagnamenti, e barlumi jazzistici dispensati per i più attenti alle trame ritmiche, mentre il basso di James Excell, impegnato in piacevoli ornamenti, arricchisce il sound con rarefatti contributi ‘fuori dal coro’.
“Sound Of The End” risente di varie influenze che mi sembra anche superfluo elencare, non grida alla rivoluzione, né annuncia il nuovo avvento di qualcosa. Ma suona fresco e gradito nel suo riaffermare il ruolo della musica e dell’arte in generale, libera ed emancipata dalla categorizzazione. L’uomo teme ciò che non riesce a definire, schedare, classificare. Chi rifiuta l’esigenza spasmodica di etichettare, catalogare, chi adora l’indefinito, l’eccentrico, apprezzerà questi pazzoidi.
In fondo, «si nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano». (Samuel Beckett)
Fabrizio Meo
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