Recensione: Soundtrack Of A Soul
Se qualche tempo fa abbiamo parlato del progetto Radioactive, definendolo come una grande parata di stelle le quali, unendo i propri sforzi avevano dato origine a qualcosa di molto simile ad un capolavoro, questa volta abbiamo la disavventura di incappare nell’effetto esattamente opposto e di trovarci per le mani, con questo “Soundtrack of A Soul” dei Liberty n’Justice, un disco non molto riuscito e deludente sotto parecchi punti di vista, caratterizzato dalla solita selezione di ospiti illustri la cui indiscussa bravura purtroppo però non va di pari passo con la qualità di quanto proposto e lascia, al termine, un sapore fortemente amaro a causa dell’occasione evidentemente persa e del delittuoso spreco di tanta grazia.
Non basta infatti una serie nutrita di ottimi nomi, celebri nel campo dell’hard rock e dell’AOR, per realizzare un valido album di rock melodico; in assenza di un songwriting convincente, di buone melodie e di suoni definiti e cristallini (insomma di belle “canzoni”), il risultato rischia di naufragare rovinosamente dando luogo ad una “toppata” colossale, che non rende alcuna giustizia alla classe degli artisti coinvolti: mi si permetta un paragone estremamente ardito, ma è come piazzare Schumacher su di una Minardi (con tutto il rispetto) e pretendere di vincere il mondiale di formula uno…
Ascoltare, ad esempio, la voce di Sebastian Bach dibattersi ingabbiata in un brano privo di incisività come “Another Nail”, è situazione che già di per se crea sconcerto e fa sorgere parecchi dubbi sulla bontà della proposta… dubbi che poi vengono dolorosamente confermati dalla sorte, certamente non più nobile, di buoni musicisti e singers come Jamie Rowe, (Adriangale) Stephen Pearcy (Ratt), Tony Harnell (TNT), Phil Naro (Talas), Mikey Dee (Motorhead), Tommy “prezzemolo” Denander, Harry Hess (Harem Scarem) Tim Gaines (Stryper), per citarne alcuni, dispersi in tracce alquanto inconcludenti e scialbe, dai toni derivativi del nu-metal a volte, o votate ad un rock noioso e ripetitivo in altri casi, e “zavorrate”, oltretutto, da una produzione al limite della “tolleranza” (“Killer Grin” sembra tratta dal demo di una garage band di vent’anni fa…), impastata e nemmeno omogenea tra i singoli episodi, aspetto quest’ultimo che ancor di più conferisce la sensazione di un lavoro sbrigativo e compiuto con grande superficialità.
Quando poi balzano alla nostra attenzione songs in controtendenza come “State Of Grace”, interpretata da Russel Arcara, “Thy Will Be Done” con un redivivo Mark Slaughter alla voce e “Always Tomorrow”, che si fregia della presenza di Ted Poley quale frontman, dandoci l’impressione di avere finalmente a che fare con brani interessanti e abbastanza riusciti, ecco che il rammarico cresce con ancora maggiore forza, per un prodotto che, mantenuto su questi discreti livelli per tutta la sua durata, probabilmente non avrebbe fatto sobbalzare sulla sedia ma di certo avrebbe avuto più consensi e feedback favorevoli…
Peccato, peccato davvero. La cosa che più duole dopo tutto è il constatare che gli autori in questo lavoro ci hanno creduto seriamente, attribuendo ad esso anche una valenza profonda e cercando di propugnare un messaggio altamente positivo e dai risvolti spirituali molto elevati (più o meno condivisibli: questioni di tale natura rientrano nell’ottica di ogni singolo individuo e sono quindi affare strettamente personale e riservato), esibendo tuttavia all’atto pratico una serie di canzoni che, tranne in rari casi (tre su 18…un po’ poche per essere soddisfatti!), hanno generato risultati sul piano prettamente musicale, scarsi o comunque in gran parte trascurabili.
Probabilmente una migliore qualità dei suoni ed una maggiore attenzione al songwriting, (che appare a tratti caotico, frettoloso e troppo poco curato) avrebbero giovato in maniera considerevole, rendendo il cd, se non buono, quantomeno passabile e meritevole di qualche ascolto.
Forse, se si fosse trattato di una band al disco d’esordio, si sarebbe potuto guardare a questa uscita con maggiore benevolenza sperando in una maturazione foriera di buoni frutti futuri, ma, visti i nomi in gioco, davvero è impossibile non sentirsi fortemente insoddisfatti e non attribuire a “Soundtrack of a Soul” una valutazione ben al di sotto della sufficienza.