Recensione: Sovran
Ore 6.32 del mattino, Istanbul Ataturk, in attesa del volo che riporti a casa con un cappuccino annacquato, statico in un bar lungo i viali trafficati di questo essere informe decido di far suonare per l’ultima volta Sovran. Dopo mesi di ascolti finalmente il momento dove prendere una decisione è arrivato; come un regalo, la sensazione di essere parte della notte, guardi il mattino dietro le spalle che cerca di entrare nella tua vita mentre i Draconian suonano le note che rintoccano la colonna sonora per questo andirivieni di gente frettolosa e sempre in ansia di prestazione. Il merito di album come questo risiede in pochi dettagli: la capacità di farti comprendere il mondo per alcuni istanti attraverso una prospettiva differente, dove le vite che aspirano ad ottenere sempre di più viaggiano lente e senza la rabbia che spesso le contraddistingue. Far suonare i Sovran alle 6.35 di mattina è pace per l’anima, è prendere consapevolezza di quanto col passare dei giorni, ognuno di noi senta necessità completamente differente rispetto ad un giorno prima, due settimane, un anno, dieci anni, passati con il fiato sul collo. Probabilmente questo pensiero potrebbe essere applicato alla perfezione se analizzata la storia della band uscita dopo uscita, anno dopo anno. Sovran non è un album semplice, accatastabile in mezzo a molti altri in modalità indifferenza con i pensieri che vagano leggiadri nell’aere. No, non in questo caso.
Il primo album dopo una scelta difficile da parte di Lisa Johansson di lasciare la band in pianta stabile, affidando gli oneri alla bella Heike, non è semplicemente una qualsiasi nuova aggiunta alla discografia degli Svedesi; può essere visto come un nuovo inizio, che probabilmente, porterà linfa vitale ed ispirazione prima di oggi mai testate ai nostri. ma con quali risultati? La giovane Sudafricana non ha solo preso le redini della situazione mutando la struttura compositiva, pare proprio che il compito di Jacobsson con questa formazione leggermente trasformata sia stato ridimensionato; un ruolo di attore non protagonista, a differenza di ciò che è stato ed è accaduto anche in un recente passato. Se negli album precedenti era pressoché ovvio come le voci fossero suddivise in maniera uniforme, questo nuovo capitolo ci propone i Draconian sono un aspetto più gothiceggiante, improntati maggiormente verso un progetto “female-vocals-oriented” che può tanto essere osannato, quanto mal digerito dai fans di vecchia data.
Sovran ha le carte in regola per diventare il punto zero per un nuovo percorso stilistico, porterà sulla lunga distanza con molte probabilità gli Scandinavi ad andare oltre ciò che è stato un limite autoimposto in passato, causa di necessità e/o possibilità della formazione, sempre rinchiusa dentro canoni prestabiliti fin troppo standardizzati. Un’impronta più omogenea e compatta, meno dedita ai contrasti lascia trapelare la sensazione di quell’amalgama ancora imperfetta tra il delicato timbro della nuova front-woman e la band, che cerca di supportarla a dovere attraverso ritmiche metafisiche; un petalo di rosa su un letto di spine che ingloba e rigurgita ogni spettro di luce. Lento soffocante ed ammaliante riesce ad annichilire in quanto organicità e profondità. Potremmo parlare delle singole tracce se volessimo, la splendida iniziale Heavy Lies the Crown, la pesante No Loneliner Star o la marcia rituale intrapresa con Dishearted, ma la verità rimane una sola: quest’album respira attraverso le sue stesse note, come un monolite pesante e privo di scalfitture, dove una patina di oscurità annebbia la vista delineando orizzonti tanto fragili quanto cromaticamente inversi.
Le prime luci del giorno continuano ad intraprendere la corsa verso la nascita di un nuovo giorno, le persone viaggiano ancora su binari prestabiliti in cerca della folgorazione sulla via di Damasco, l’album prosegue delineando infauste visioni attraverso i loro corpi. Chiudi gli occhi un minuto, provi a riaprirli, fa male; c’è necessità di silenzio in queste note, la richiesta al mondo di far sparire tutti e tutto per lasciarsi cullare ed abbracciare dal lento naufragare. Certamente le onde che ti sorreggono sono gentili ed eleganti, attraversate da note che cercano di spingersi verso lidi mai testati peccando purtroppo in brani, che amaramente, risultano come volevasi dimostrare non perfetti.
La grande pecca dei Draconian di oggi è quella di aver creato ottime canzoni ma che risultano sostanzialmente poco coraggiose e conformi ad un registro già testato diverse volte in passato, come se la paura avesse frenato l’ispirazione. Il rage vocale di Heike, se proporzionato al suo progetto Lorelei, risulta leggermente timido e ancora in fase di rodaggio con la nuova band, non ancora in grado di amalgamarsi alla perfezione con Anders sulla lunga durata. Due entità che si stanno conoscendo, in cerca della sinergia empatia necessaria. Anche l’impatto di Johan oggi rispecchia meno coraggio ed espressività se proporzionato al suo progetto Doom:Vs, che vince a mani basse con il suo ultimo Earthless, ovviamente se indirettamente paragonato a Sovran offre spunti di riflessione sull’operato del chitarrista che porta a galla alcuni dettagli zoppicanti. Questo pur non essendo considerabile quale un album di basso livello non si infila nei pertugi di un’animo cupo e metafisico, quale quello di ogni amante di certe sonorità che si rispetti, ricerca ad ogni ascolto.
Alti e bassi come da copione forniscono un nuovo giorno dove rumori, tendenze, espressioni e introspezioni regalano la possibilità di rimettersi in moto lungo questo aeroporto; la sempre dimenticata priorità definibile e rintracciabile del “senti il tuo corpo e diventane padrone”. Un album che ti porta a ricoleggarti con le tue azioni motorie più ordinarie, riscoprendo l’importanza delle sensazioni interne assopite nel tempo. Lento, smisurato ed elegante riesce a far dimenticare quanto tutto sia oggi formato amaramente da ansie, ipotesi e insufficienze; da qui i Draconian possono alzare la testa nuovamente perché dopo una perdita, rimettersi in carreggiata, è sempre difficile. Se questo è il nuovo primo passo verso orizzonti, inesplorati non ci resta che lasciare entrare la luce dentro gli ambienti che solitamente negano la vita per farle irradiare lo svanire del tempo. Chiudete gli occhi, lasciate che il mondo si allontani con velocità mentre Sovran rintocca coraggiosamente le mutazioni del vostro corpo; è ora di prendere il volo ed il cappuccino è freddo, buon viaggio.