Recensione: Spacepirates
A tre anni dalla loro ultima fatica, l’ esperimento acustico “Mexican Way”, ed a cinque dal loro ultimo disco puramente Heavy, il bellissimo “XXX”, tornano a farsi vivi i bolognesi Rain (appartenenti alla hall of fame dell’ Heavy Metal italico, almeno per il sottoscritto).
Il loro ritorno è, come spesso accaduto nella loro ormai trentennale carriera, accompagnato dall’ennesimo cambio di cantante; ma niente paura, il nuovo entrato Mantis Le Sin non farà di certo rimpiangere i suoi predecessori con il suo timbro caldo e potente: a parer mio una delle migliori sorprese in questo nuovo “Spacepirates”, album che si presenta con una copertina in stile Marvel molto accattivante.
Quando tra una release e l’altra passa molto tempo è lecito aspettarsi qualche cambiamento ed infatti i nostri ci propongono una leggera virata stilistica in cui l’Heavy Metal tradizionale degli album precedenti (escluso ovviamente “Mexican Way”) viene, se vogliamo, appesantito ma nello stesso tempo dotato di una certa immediatezza, che farà senza dubbio diventare i nuovi pezzi dei veri e propri cavalli di battaglia in sede live. Sia chiaro, i Rain sono nati nel 1986, hanno sempre suonato Heavy Metal e continuano a farlo anche oggi! Solo che le loro composizioni sono meno complesse, più brevi ma di grande impatto. Insomma il loro è un album che non consiglierei di ascoltare mentre si è alla guida: già l’apertura affidata alla titletrack ed ai suoi riff violentemente metallici potrebbe portarvi a superare inconsapevolmente ogni limite di veloità. Ottimo il suono delle asce anche nella meravigliosa “Hellfire”: qui la strofa in alcune soluzioni ricorda lontanamente i Black Label Society mentre il chorus è trascinante, potente e melodico, di quelli che vengono partoriti solo in Italia (penso ad altri vecchi volponi come Tarchon Fist o Ancillotti). Ancora tanta classe metallica in “Black Ford Rising”, “Forever Bitch” (che sound le chitarre!) e soprattutto nella bellissima semi ballad “Billion Dollar Song” che considero uno dei pezzi forti del disco: melodie ariose che entrano subito in testa, chitarre acustiche ed elettriche che si alternano con una naturalezza tipica solo di chi ha, oltre a tanta classe, tanta tanta esperienza…insomma, ispiratissima!
L’unico motivo per cui non si può parlare di un capolavoro sta in due o tre pezzi sotto la media: “Don’t Call The Cops” col suo incedere quasi Street Metal è un po’ fuori contesto, “Not Dead Yet” pur essendo a suo modo trascinante nella strofa si perde in un refrain leggerino e poco ispirato ed “86”, ,in cui tornano a fare capolino i Black Label Society, che pur non essendo un brutto pezzo non riesce a trascinare come dovrebbe.
Per fortuna sul finale un altro colpo di classe: “Kite’n’Roll”, motorheadiana nell’animo e nell’interpretazione vocale, fa sbattere il piede e la testa con convinzione e torna a riproporre un lavoro di chitarra potente e metallico al punto giusto; bello l’inserto in lingua spagnola durante la seconda strofa che mi ha riportato alla mente le migliori cose dei Baron Rojo d’annata.
Insomma un gran bel dischetto, che in poco più di mezz’ora ci bombarda i timpani a dovere con un Heavy Metal massiccio che non sarà originalissimo o ultratecnico (attenzione però, questi sanno suonare, ECCOME!), ma che è di grande impatto e con un’attitudine live spaventosa! Spero davvero che presto vengano a suonare dalle mie parti, non mancherò!