Recensione: Spawn of Almighty Essence

Di Daniele D'Adamo - 21 Febbraio 2020 - 6:10
Spawn of Almighty Essence
Band: Schizogen
Etichetta: Willowtip Records
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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75

Nonostante il ritardo accumulato nel corso dei decenni sul Resto del Mondo, dovuto alla divisione storica, culturale e, nondimeno, artistica, operata dalla cortina di ferro; il metal dell’Est europeo, soprattutto estremo, sta velocemente recuperando in termini di modernismo e professionalità.

Lo dimostrano parecchie band, soprattutto polacche come ben si sa, ma anche provenienti da altri territori un tempo musicalmente sconosciuti. Come nel caso degli ucraini Schizogen, nati nel 2016 e giunti quest’anno a tagliare il traguardo del secondo album in carriera, “Spawn of Almighty Essence”.

I Nostri spargono in giro manate di puro brutal death metal. Quello sì ortodosso ma arroccato su un suono perfettamente al passo coi tempi. Peraltro perfettamente prodotto, in grado cioè di essere letto con facilità, perlomeno per quanto riguarda le singole componenti strumentali. Benché il disco appaia come uno spaventoso coacervo di dissonanze, disarmonie e complessi passaggi musicali, resta ben chiaro e udibile la sequenza logica che conduce a registrare un album nel complesso ordinato, quadrato, dallo stile – centrato con ammirevole continuità – in perenne emersione dalla marea di note che lo compongono. Stile invero poco originale, questo sì. Ma il concetto è sempre quello: se si intendono rispettare al cento per cento i dettami di una tipologia musicale, vien da sé che i margini di manovra, in quanto a digressioni, evoluzioni e progressioni, siano davvero pochissimi.

Così, “Spawn of Almighty Essence” può essere benissimo preso a esempio per indicare al profano quale sia un impatto tecnicamente corretto, ovvero quello dell’incredibile e ingegneristicamente esatto muraglione di suono innalzato dal combo di Kiev. Grinder, il cui war name è tutto un programma, cuce una tela pressoché infinita di riff, la cui varietà è impressionante per complessità e diversità. Un chitarrista solo, è vero, ma che ha ben chiaro in testa cosa sia creare un rifferama pazzesco nella sua arcigna dispensa di fiondate di decibel schiantati in piena faccia. Una prova delle sei (o sette) corde esemplare e quasi insuperabile per intensità, se rapportata al genere suonato, che copre con foga scardinatrice sia la parte ritmica, sia quella – iperarzigogolata – solista. Semplicemente mostruosa la sezione ritmica, devastata da un drumming il cui autore, Vadim, probabilmente non batte un colpo uguale all’altro, così com’è concentrato a variare continuamente l’impatto delle proprie battute. Apparentemente poco significativo il basso di Pavel, ma solo perché, come da enciclopedia del brutal, tende o a mutuare pedissequamente l’andamento della chitarra, o a fornire un cupo rombo in sottofondo a sostegno, invece, della batteria. Ottimo il growling – ma anche l’inhale – di Pablo, anch’esso limitato dalla voglia di coincidere quanto più possibile con gli stilemi di base del brutal, tuttavia irreprensibile se ascoltato nel folle insieme con il terrificante cozzo perpetuo generato dai sui compagni.

Ciò che al contrario difetta un po’, nell’economia del full-length, è la composizione delle singole canzoni. Anche passando e ripassando sul tragitto intercorrente dall’opener-track ‘Birth of the Great Mass’ alla closing-track ‘Cold Winds of the New World‘, non emergono spunti da mandare a memoria, oppure dotati di quel quid in più sì da far sollevare “Spawn of Almighty Essence” più in alto di quanto, comunque, non sia. Forse la carne al fuoco è troppa, e quindi supera, in quantità, quella organicamente ricevibile dal cervello umano.

Per il resto nulla da dire: “Spawn of Almighty Essence” è un signor album di brutal death metal e gli Schizogen ne sono gli ottimi ideatori nonché esecutori e interpreti.

Daniele “dani66” D’Adamo

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