Recensione: Speak Not Of The Laudanum Quandary
“Una serie di osservazioni sugli aspetti meno antichi, e forse incriminanti della storia imperiale scozzese, quindi britannica, al fine di evocare alcune intese sul motivo per cui ci sediamo qui in tutta comodità sulla cima di una montagna di ossa, mentre altri annegano nella propria sporcizia nelle grondaie che abbiamo dragato”.
Una delle poche certezze che abbiamo in Italia in ambito metallico è ovviamente la Code666: è d’uopo rizzare bene le orecchie nel momento in cui la label nostrana si appresta a pubblicare un debutto perché raramente sbaglia. Centro perfetto quindi anche con gli scozzesi Ashenspire, band giovanissima nata nel 2013 a Glasgow dal volere di Alasdair Dunn (ex Enneract) che propone una forma musicale difficilissima ma anche appagante per gli ascoltatori più esperti. Speak Not Of The Laudanum Quandary prima di tutto è un concept sull’imperialismo britannico, poi un disco dalle notevoli potenzialità, presentato benissimo con un package ottocentesco e suonato ancora meglio. La formazione degli Ashenspire, oltre alla strumentazione “solita”, ospita anche il violinista come elemento fisso, già impiegato con ottimi risultati dagli australiani NeObliviscaris e ancora non troppo inflazionato per risultare anacronistico. Il genere proposto dalla Ashenspire Phonograph Orchestra è quindi al 100% avantgarde, con un sound che si affaccia ai Vulture Industries, ai Dødheimsgard e a tutta quella branca di band a cui non piacciono le cose particolarmente immediate e semplicistiche. Speak Not Of The Laudanum Quandary è un’opera ostica e dalle composizioni parecchio dilatate; qui la forma canzone è un’utopia e le influenze sono talmente tante che risultano anche difficili da gestire in una recensione. C’è davvero di tutto nella musica degli Ashenspire: da sprazzi di black metal alla musica da camera, dal jazz ad appigli operistici fino alla musica classica vera e propria e a svariati lampi di genialità sparsi per un po’ tutta la tracklist. Sono sette le tracce presenti nell’album la cui durata, se escludiamo l’intermezzo A Beggar’s Belief, non si assesta mai sotto i sette minuti e nella conclusiva titletrack raggiunge anche i tredici. La sezione ritmica è davvero ottima e offre sempre il pattern giusto senza mai strafare o essere particolarmente invadente; la chitarra nella maggior parte del minutaggio è assegnata all’accompagnamento e alle progressioni di accordi mentre la parte solistica è tutta nelle mani del violino e della voce. Proprio la voce, avete letto bene: il buon Alasdair infatti si cimenta piuttosto bene in ciò che viene chiamato Sprechgesang, un modo di espressione che unisce parlato e canto, la cui prima apparizione fu ad opera di A. Schönberg nel Pierrot Lunaire (1912). Linee vocali quindi ad altissimo contenuto di teatralità in funzione di una forma espressiva che rende i testi fondamentali e una parte integrante che è la vera e propria chiave di lettura del disco. Senza almeno un tuffo nelle liriche, la fruizione di Speak Not Of The Laudanum Quandary risulterebbe incompleta e artisticamente monca.
Mattone cosmico quindi? Indubbiamente lo sarà per molti, ma tutti gli altri lo ameranno; il sunto di tutta la recensione può essere questo. Speak Not Of The Laudanum Quandary si ama o si odia, non è un disco che può piacere ma, è un disco che può piacere e basta o non provocare la minima emozione. Prendete quindi un tessuto sonoro molto vario arricchito dal violino e talvolta il pianoforte, aggiungete un cantato che, per intenderci, rimanda al 100% ad Aldrahn e i Dødheimsgard e avete ottenuto gli Ashenspire. Avvicinatevi a loro con molta pazienza e una propensione innata all’assurdo perché questo offrono: un’ora di voli pindarici volti a ribadire che la creatività non è morta e che nel metal si può ancora fare arte a 360 gradi. Date assolutamente un’opportunità a questi ragazzi, magari sorseggiando un buon Talisker al lume di candela durante una nottata piovosa, la dimensione ideale per Speak Not Of The Laudanum Quandary, che è a tutti gli effetti uno dei primi lavori grandiosi del 2017.
Imperdibile.