Recensione: Speed Metal Symphony
Nell’ anno di grazia 1987 si compiva un’ ulteriore passo per l’evoluzione della chitarra elettrica ultra-tecnica. Irrompevano sulla scena della sei corde due giovani virgulti sotto il sinistro nome di Cacophony: si trattava della premiata ditta Marty Friedman & Jason Becker, due personaggi che in futuro avrebbero, anche se con diversi esiti, fatto parlare molto di sè. Con questo disco gettavano le basi per andare oltre lo shredding neoclassico inventato, se così si può dire, qualche anno prima da Yngwie Malmsteen con “Rising Force”.
I ragazzi cominciarono ad introdurre licks molto cromatici, si divertirono a snocciolare a iosa arpeggi fortemente atonali (tipo LAm6 su un accordo di Lam!), eseguendo i solos a velocità esagerate, con un orgia di legati, stretch e slides: il tutto rendeva i pezzi certamente poco orecchiabili, cacofonici per l’ appunto, e poco digeribili al di fuori di ambiti puramente chitarristici. Ma il fascino del disco sta proprio in questo. I primi commenti dell’ epoca non furono certamente soddisfacenti: erano tutti per la maggior parte improntati alla dubbiosa negatività. Le solite critiche stereotipate si fondavano sul fatto che questa manciata di composizioni fosse priva di calore e di sentimento, che si trattasse semplicemente di una folle corsa ad ostacoli. Solo qualche anno più tardi si accettò che quelle progressioni musicali e la velocità di esecuzione fossero parte integrante di un tipo di chitarrismo estremo. Marty Friedman, i pezzi del disco erano per la maggior parte suoi, volle con sé l’ enfant-prodigé (all’ epoca solo diciassettenne!) Jason Becker al fine di armonizzare quasi tutte le parti solistiche cosicché, sono parole sue, non vi fossero spazi vuoti o fatui all’ interno delle singole composizioni.
La produzione della Shrapnel Records è quella tipica, canonicamente ruvida, dei migliori dischi di chitarra degli anni ’80; la cosa non è affatto fastidiosa, anzi riesce a stemperare in parte il mostruoso muro di note tube-screamed che questo platter propone. Diversamente da quanto si potrebbe credere fin qui non si tratta di un album completamente strumentale, anzi è vero il contrario. In ben 6 tracks presta la sua voce tale Peter Marrino, ma questo non significa che tali composizioni si addolciscano nella forma: le linee vocali sono cupe, pur esse atonali, spigolose e difficilmente comprensibili ai primi ascolti. Il cantante è al limite del growl, ma in questo contesto poco ci interessa quello che fa la voce. L’ attenzione dell’ ascoltatore è volta alle ritmiche intricate, piene di disparismi e sincopazioni, magistralmente condotte da uno stregone della batteria dell’ epoca, Atma Anur. Ci si concentra sulle avviluppate linee di chitarra che bruciano in pochi solos come in Where My fortune Lies o costruiscono interludi strumentali più lunghi come in The Ninja o in Burn The Ground.
Desert Island è forse il pezzo di più facile ascolto, più accessibile, riporta alle atmosfere hard-rock tipiche dei primi Van Halen. Ma tutto quello che si è detto riguardo la complessità e l’ atonalità di questo “Speed Metal Symphony” raggiunge il suo culmine nella title-track e in Concerto, di cui sono co-autori sia Friedman che Becker: si tratta di due composizioni esclusivamente strumentali, dove le chitarre elettriche dei due scrivono quello che definitivamente dai più è considerato il manifesto dello shred. Qui i riferimenti neoclassici sono più abbondanti ma mai scontati, la velocità di esecuzione delle scale viene forzata sia in plettrata sia in legato con diteggiature assurde che conferiscono una certa fluidità alle progressioni armoniche, eppure nonostante le difficoltà dell’ esecuzione l’ interplay dei due chitarristi mi sembra totale, quasi che nello scrivere questi pezzi avessero le identiche cose in mente, e questa è la cosa che più mi stupisce. Per concludere posso dire che certamente in quest’ album c’è poco spazio per la melodia, almeno rispetto a quanto ce ne sarà nei rispettivi dischi solistici appena seguenti dei due autori e nel successivo album “Go Off!” registrato sempre sotto il nome di Cacophony, che in effetti tradisce un pò lo spirito di “Speed Metal Symphony”.
L’ intenzione degli stessi chitarristi in quest’ ultimo non era quella di emozionare sentimentalmente, gli abbellimenti stilistici volutamente scarseggiano, ma di impressionare cerebralmente, di creare un nuovo modo di intendere la chitarra elettrica, complesso, oscuro ed estremo. A mio giudizio ci sono riusciti. Questo è lo shred signori, prendere o lasciare.
TRACKLIST:
- Savage (Friedman) – 5:46
- Where My Fortune Lies (Becker/ Friedman) – 4:32
- The Ninja (Friedman) – 7:24
- Concerto (Becker/Friedman) – 4:37
- Burn The Ground (Friedman) – 6:50
- Desert Island (Friedman) – 6:24
- Speed Metal Symphony (Becker/ Friedman) – 9:31