Recensione: Spheres
Jazz, fusion, prog, musica sinfonica, tutto calato profondamente in una dimensione metal.
E’ questo il traguardo del percorso dei
Pestilence che nel 1993 pubblicano Spheres, sconvolgendo tutta la musica dura del vecchio continente.
Soprattutto i primi due elementi citati sono predominanti in questo nuovo lavoro, ennesima – eccellente – evoluzione del combo
olandese, che non si può certo accusare di immobilità o eccessiva coerenza. Anzi, la loro coerenza consiste proprio nell’essere in continua evoluzione, mantenendo un impianto profondamente metal e di volta in volta adattarlo alle strutture delle canzoni: è così che in soli 5 anni si è passati dal thrash al death, dal prog al jazz mantenendo però una propria identità. Persa questa identità…beh, sappiamo tutti come è andata a finire.
Grande novità di Spheres è l’utilizzo di particolari chitarre (MIDI guitar o synth guitar) che riproduco i suoni più disparati; non ci sono tastiere, e se lo avete ascoltato o lo ascolterete faticherete non poco a crederlo: un altro colpo di genio della band. Districarsi fra queste canzoni è un po’ come compiere una missione spaziale tra suoni freddi e futuristici come mai prima esaltati da una produzione azzeccata, asettica come se le registrazioni fossero avvenute in camera iperbarica.
Risultato difficile giudicare un album del genere rispetto ai precedenti: forse sarebbe giusto dire che il migliore resta “Testimony..” ma il fascino suscitato da “Spheres” è qualcosa che trascende un giudizio metal-critico: questa è arte
e non importa se a quel tempo non ricevette le attenzioni che merita; liberi dalle mode del momento e dalla frenesia di ascoltare le ultime uscite – troppo spesso uguali – è arrivato il momento di gustarsi un capolavoro di questo calibro, una sorta di quadro di Dalì della musica che vi ruberà mezz’ora della vostra vita lasciandovi però in dono emozioni uniche.
Mind Reflections, a velocità sostenuta, lascia a bocca aperta
con un fantastico riff portante, le urla di Mameli e le evoluzioni ritmiche.
Multiple Beings e The level of perception sembrano invece partire tranquille ma si trasformano presto in un delirio di scale impossibili da ricordare, rullate cacofoniche e giri di basso in primo piano (ottimi i suoni ed il mixaggio) e tastieroni – mai sopra le righe – che prendono in prestito anche gli stilemi dello space-rock alla
Hawkind.
Aurian…, come Voices…
e Phileas, è un intermezzo di Synth guitar assolutamente ipnotico ed introspettivo.
Soul Search, assolutamente contorta, torna a pestare forte in diversi momenti mozzafiato con Mameli sugli scudi mentre
Personal Energy, la più “riflessiva” del disco, è pescata direttamente dal free jazz di metà secolo.
La title-track è un’altra sorpresa, con un ottima prova alla voce di Mameli è un delirio di suoni differenti nella parte finale, come la successiva ed intricatissima
Changing Perspectives: a questo punto del disco ci si trova ormai completamente alienati e allo stesso tempo è molto difficile interrompere l’ascolto, che cattura.
Demise of Time è la fine di tutto, una sorta di apocalisse in musica in cui l’estraniazione dalla realtà è completata da giri di chitarra ipnotici, tempi spezzati e suoni di ogni genere, in un crescendo che sembra mirato a far lievitare l’ascoltatore conducendolo per mano lassù tra le “sfere” dello spazio…..aspettate, devo premere nuovamente play….
Line-Up:
Patrick Mameli – guitar, synth guitar, vocals
Patrick Uterwijk – guitar, synth guitar
Jeroen Paul Thesseling – bass
Marco Foddis – drums
Tracklist:
1. Mind reflections
2. Multiple beings
3. The level of perception
4. Aurian eyes
5. Soul search
6. Personal energy
7. Voice from within
8. Spheres
9. Changing perspectives
10. Phileas
11. Demise of time