Recensione: Spirit of the Chateaux

Di Stefano Ricetti - 24 Luglio 2024 - 7:47
Spirit of the Chateaux
Band: Chateaux
Genere: Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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73

A livello squisitamente personale ho sempre considerato gli Chateax come la risposta più grezza, ruvida e marcatamente heavy metal agli americani Van Halen proveniente dalla Terra d’Albione. Sia ben chiaro, lungi dall’essere accostato a Edward il leader della band, ossia il chitarrista Tim Broughton, sia per livello che per velocità, semplicemente più volte certune soluzioni stilistiche – non sempre, of course! – messe in atto dal complesso dello Gloucestershire richiamavano la band di David Lee Roth e dei fratelli VH.

Una cosa, poi, mi ha sempre colpito, degli Chateaux: il suono della chitarra dello stesso Tim Broughton, elettrico che più elettrico non si poteva! Capace di insinuarsi sottopelle, tanto che quando leggo di sei corde taglienti come rasoi automaticamente vado ancora con la mente all’ascia dei Castelli posti a Sud Ovest dell’Inghilterra. Emblematico il brano “Run In the Night”, in questo senso. La storia dell’Acciaio ha poi partorito altre lame affilate fra le proprie fila, ma la prima non si scorda mai, come si suol dire.

Tornare ad occuparsi degli Chateaux equivale ad affondare nelle viscere di una delle band di culto della Nwobhm.  Lo spunto lo fornisce Spirit of the Chateaux, cofanetto a tre CD ricomprendente tutto quanto realizzato dagli inglesi e messo sul mercato dall’etichetta Dissonance Productions, una sussidiaria della Cherry Red Records.

Brevissimamente: la band prese forma a Cheltenham nel 1981, originariamente sotto il nome Stealer, per poi debuttare con la canzone “Young Blood” all’interno della compilation Metal Maniaxe, curata dalla Ebony Records. Il Cd numero uno ricomprende Chained and Desperate, il loro primo album, uscito originariamente nel 1983, con l’aggiunta di due tracce bonus: “Young Blood” e “Fight to the Last”, tratte dal 45 giri del 1982. A seguire altri due Cd con i restanti full length: “Firepower” dell’84 e “Highly Strung” del 1985. Tutti prodotti che a loro tempo videro la luce per la stessa Ebony.

Attitudinalmente gli Chateaux ricadono appieno nello spirito che ammantava il periodo della Nwobhm e anche musicalmente ricalcano gli stilemi prevalenti di quel momento storico del British Steel, sebbene con un orecchio sempre teso verso gli Usa. Come specificato a inizio recensione la loro è una ricetta poggiante sulla chitarra affilatissima di Tim Broughton, l’unico membro della band presente dall’inizio alla fine della loro parabola artistica. All’interno del primo album alla voce vi è Steve Grimitt – proprio così venne accreditato nelle note ufficiali, storpiandone il cognome, a significare che certuni, noti strafalcioni non apparivano soltanto a livello di HM italiano! – che altro non era che il famoso Steve Grimmett, purtroppo mancato nell’agosto del 2022, a quel tempo anche nei Grim Reaper. Più avanti negli anni si sarebbe unito a Onslaught e Lionsheart.

Chained and Desperate incarna il tipico disco di debutto: energico ma acerbo, con al proprio interno una prova solida – al netto di qualche fuorigiri non richiesto – da parte dello stesso biondo cantante che comunque, va sottolineato, rappresenta la classica ciliegina sulla torta, per gli Chateaux.  La maturazione avviene lungo le otto tracce del successivo Firepower, per lo scriba l’highlight della loro storia, che non a caso inanella una manciata fra i pezzi simbolo del gruppo: la roboante “Rock and Roll Thunder” posta in apertura, l’iconica “Eye of Stone”, la straclassicaStreet Anger” e la sopraccitata “Run in the Night”. Alla voce vi è Krys Mason, un interprete assolutamente degno e dal timbro acido, in linea con lo stereotipo dell’heavy metal singer del periodo. Highly Strung chiude, di fatto, il capitolo Chateaux: un lavoro nel quale Broughton & Co. ricordano i Motley Crue più duri e beceri, quelli di Too Fast For Love e Shout at the Devil, alla british maniera, però, quindi alzando il tonnellaggio. Meno di un anno dopo, senza alcun supporto promozionale da parte della Ebony e nessuna possibilità di rilievo per esibirsi live, gli Chateaux si scioglieranno e sarà per sempre.

Spirit of the Chateaux si accompagna a un booklet di dodici pagine curato da John Tucker, uno che di Nwobhm se ne intende, riportante la storia della band, qualche foto, memorabilia varie (flyer, ritagli di articoli da vecchie riviste), nulla però che si possa definire davvero eclatante. Evidentemente il materiale disponibile afferente agli Chateaux è quello, anche per un segugio come Tucker.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

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