Recensione: Spiritual Genocide
Puntuale come la Morte, per celebrare il trentesimo anniversario di attività, il ‘Macellaio Pazzo’ torna minaccioso a farci visita a un anno di distanza da “Day Of Reckoning”, con il tredicesimo album sulla lunga distanza: il qui presente “Spiritual Genocide”.
Puntuale, dicevamo, sì perché dal ritorno in pompa magna di Schmier con il demo “The Butcher Strikes Back” (1999) e il successivo full-length “All Hell Breaks Loose” dell’anno successivo, i Destruction hanno inanellato una serie importante di uscite senza in pratica sbagliare un colpo e per di più con una certa costanza. Si direbbe, infatti, che da più di due lustri stiano vivendo una sorta di seconda giovinezza e che stiano beneficiando di una rinnovata ispirazione. A ulteriore dimostrazione di tutto ciò, come non riconoscere che in questi anni abbiano regalato ai propri sostenitori degli show dal vivo davvero grintosi e devastanti? Ebbene, senza menare il can per l’aia, anche questa loro ultima fatica prosegue sull’onda del ritrovato entusiasmo e quindi, senza indugiare oltre, procediamo a sviscerarla minuziosamente.
La prima cosa che si nota, passando all’ascolto, è che il collaudato e affiatato duo Schmier/Sifringer può contare su un ottimo batterista come Vaaver: preciso, vario e dinamico. Già dalla precedente release aveva dimostrato di saperci fare, tuttavia su “Spiritual Genocide” si avverte un maggiore coinvolgimento e amalgama con i suoi compagni e talvolta è proprio lui a conferire una spiccata spinta propulsiva, anche nei frangenti meno tirati. Per non parlare delle mitragliate che dispensa in occasione del brano più veloce dell’album: “Under Violent Sledge”. Una vera scheggia impazzita. Non possiamo, quindi, che augurarci che questa collaborazione spezzi finalmente la girandola di batteristi che si sono alternati nel corso degli anni, con la convinzione che una più solida coesione non possa che beneficiare al gruppo. In secondo luogo, si può immediatamente sentire che la produzione è un po’ meno ‘pompata’ rispetto a “Day Of Reckoning”. I suoni e i singoli strumenti sono più nitidi, leggermente meno granitici e un po’ più affilati. A beneficiarne maggiormente è la chitarra e, ritengo, che non sia una scelta casuale, poiché sono gli stessi riff a essere meno poderosi rispetto ad altre occasioni, come se il buon Sifringer avesse provato a comporre delle ritmiche più insidiose e incalzanti, ricercando una cattiveria più sottile e penetrante (sentite per esempio le ritmiche di “Renegades” o della title-track). Peccato solo che in studio non siano riusciti a valorizzare altrettanto bene i suoi soli, che spesso tendono a finire in secondo piano. Anche perché, pur non essendo un virtuoso dello strumento, riesce sempre a inserire degli assolo brevi e assassini che giungono come delle stilettate.
In generale, comunque, sono proprio le composizioni a essere più scarne e dirette, ma mai banali o spudoratamente riciclate, anzi, piuttosto eterogenee. Come se avessero provato a esaltare la freschezza e l’immediatezza degli arrangiamenti, senza appesantirli inutilmente. Oltre a questo si può riscontrare un’evidente ricerca di una certa melodia che rende i brani più facilmente assimilabili e riconoscibili. Non pensiate però che i Nostri abbiano rinnegato il proprio credo inserendo odiose ‘sviolinate’ o corettoni in stile power teutonico, niente di tutto ciò. Le melodie cui alludevo sono, piuttosto, lugubri e tetre, sempre pervase da un pizzico di cattiveria e tensione e quindi tutt’altro che solari. Non è facile comunque destreggiarsi in questo campo senza rischiare di comporre delle tracce banalotte e prive di mordente. Non sempre sono andati a segno, infatti, ma potendo contare su un’esperienza che pochi altri possono vantare e non essendo certo degli sprovveduti, in molti casi ci sono riusciti. L’altro principale pericolo, poi, è che l’album finisca per avere poca longevità, che tenda a stancare dopo poco tempo. Invece, in questo caso, direi che con gli ascolti non cali l’interesse, a parte qualche rara eccezione, e che qualche episodio che inizialmente poteva sembrare meno avvincente, a lungo andare finisce per coinvolgere al pari degli altri.
In conclusione, non possiamo che affermare senza troppi ripensamenti che “Spiritual Genocide” è davvero un buon lavoro, a conferma di quanto sostenuto in apertura. Non è senza dubbio il loro lavoro migliore e probabilmente non rientra neanche in un’ipotetica Top Five della loro discografia, eppure non si può mettere in discutere più di tanto la genuinità e la forza dirompente di questo loro ultimo capitolo. Per gli attuali Destruction si potrebbe azzardare un paragone con gli inossidabili Motörhead: nessuno, credo, si aspetta che Lemmy e soci continuino a sfornare, oggigiorno, degli album che possano competere con gli acclamati e irripetibili capisaldi del passato, tuttavia, con una certa regolarità, si ripresentano con dischi che non deludono mai, di qualità mediamente elevata e con qualche episodio che spicca sugli altri… e così è anche per il trio teutonico.
Orso “Orso80” Comellini
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Tracce:
1. Exordium 1:04
2. Cyanide 3:22
3. Spiritual Genocide 3:40
4. Renegades 3:56
5. City Of Doom 4:02
6. No Signs Of Repentance 3:24
7. To Dust You Will Decay 4:21
8. Legacy Of The Past (feat. Gerre from Tankard, Tom Angelripper from Sodom) 4:50
9. Carnivore 4:28 (feat. Oliver Kaiser, Harry Wilkens)
10. Riot Squad 4:13
11. Under Violent Sledge 4:09
Durata 41 min. ca.
Formazione:
Marcel “Schmier” Schirmer – Voce, Basso
Mike Sifringer – Chitarra
Vaaver – Batteria