Recensione: Spock’s Beard

Di Mauro Gelsomini - 20 Novembre 2006 - 0:00
Spock’s Beard
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2006
Nazione:
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70

In barba al titolo omonimo, gli Spock’s Beard sono giunti alla nona studio release, la terza dalla dipartita di Neal Morse e dalla rinascita cui gioco forza sono stati “costretti”. Le precedenti uscite, Feel Euphoria e Octane, infatti, avevano indicato chiaramente il nuovo corso della prog band californiana, ora guidata dal batterista/cantante Nick D’Virgilio: un deciso ritorno al progressive rock più tradizionale e melodico, che non disdegna certo la componente neo-prog, ma che si tiene a debita distanza dallo sperimentalismo talvolta estremo e fine a se stesso che aveva caratterizzato con alti e bassi la produzione precedente.

In effetti non sapremo mai con certezza se la svolta sia stata propiziata da motivi stilistici, ovvero dalla comunione d’intenti (e di gusti) raggiunta con l’uscita di scena di Morse, o piuttosto se essa sia la conseguenza di uno studio a tavolino con l’obiettivo di abbracciare una fetta più larga di fan, accostando i nostalgici del prog-sound di Yes, Marillion, Genesis e compagnia bella, ai più “tecnologizzati” seguaci di Dream Theater e Porcupine Tree; la risposta è probabilmente una miscela delle due considerazioni, anche se non è possibile determinare il peso di ognuna. Di certo entrambe emergono dalle parole di Nick D’Virgilio

Il risultato finale si allinea a quello del precedente Octane, confermando quindi il (nuovo) trademark sonoro impostato dalle ultime due release: gli Spock’s Beard non mescolano più suoni, bensì generi, proponendoli nel loro (nuovo) stile, che qui viene caricato in termini old-fashioned aumentando la presenza di arrangiamenti sinfonici e tastiere, con un Ryo Okumoto in evidenza sulle parti di mellotron e organo, e con un quartetto di fiati aggiunto. Nella nuova cornice danzano in maniera del tutto libera e spesso scanzonata le influenze più disparate, dal blues al jazz, tutte rigorosamente “old”.
Il tiro viene alternativamente allentato e stretto ricorrendo ora all’incupimento, ora all’impatto: nel primo caso si fanno apprezzare la opener “On A Perfect Day” e “With Your Kiss”, che regalano comunque momenti di introspezione nei loro complessivi quasi venti minuti di durata, l’infuriata “Is This Love”, o la ballatona strappaconsensi “All That’s Left”; nel secondo caso, facciamo riferimento alla strumentale “Skeletons At The Feast”, asfissiante 11/8 in tipico Canterbury sound, al duetto voce/piano di “Hereafter”, o al blues di “Slow Crash Landing Man”.
La summa di tutto ciò è rappresentata dal “As Far As The Mind Can See”, ambiziosa suite in quattro parti che nei suoi diciassette e più minuti svaria da refrain iper coinvolgenti su tempi dispari (!!!), a cantati à la Gabriel su tappeti rhythm’n’blues.
Resta da registrare, ad ogni modo, il modo di approcciare al genere: la composizione è a livelli extra-terrestri, come pure l’esecuzione strumentale, ma la dinamicità dei brani va inevitabilmente a discapito del feeling, che ancora una volta soffre di alti e bassi, anche se gli sforzi per raggiungere una certa teatralità (almeno sonora) vanno sottolineati. Dal punto di vista vocale, Nick è migliorato ancora, ma per il sottoscritto il confronto con Morse è ancora lontano dal poter essere anche solo accennato; anche per quanto riguarda l’approfondimento lirico (così come ci ha confermato lo stesso D’Virgilio) il dopo-Morse si è tradotto nel frivolo e grottesco, e ciò costituisce ancora un debito.

Va detto, in conclusione, che gli apprezzamenti fatti per Octane in relazione all’abbandono di certe forzature nell’utilizzo di modernismi (filtri sulle voci, distorsioni al limite del Nu-Metal, ecc.) per ripristinare un suono più “classico” trovano piena conferma con questo platter, che con i suoi 78 minuti riuscirà sicuramente ad avvicinare anche i palati più “difficili”.

Tracklist:

  1. On A Perfect Day
  2. Skeletons At The Feast
  3. Is This Love
  4. All That’s Left
  5. With Your Kiss
  6. Sometimes They Stay, Sometimes They Go
  7. The Slow Crash Landing Man
  8. Wherever You Stand
  9. Hereafter

As Far As The Mind Can See

  1. part 1 – Dreaming In The Age Of Answers
  2. part 2 – Here’s A Man
  3. part 3 – They Know We Know
  4. part 4 – Stream Of Unconsciousness
  1. Rearranged

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