Recensione: Stained

Di Matteo Bovio - 8 Giugno 2004 - 0:00
Stained
Band: Imperanon
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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60

Cosa si dice di un album così? Le scelte di certi gruppi apparentemente così ovvie sono in realtà, a pensarci bene, abbastanza anomale… Mi chiedo come possano gli Imperanon aver scelto di vivere così tanto all’ombra di un altro gruppo, a svuotarsi completamente di personalità per stare ai dettami di un filone. Sto parlando dell’abusata corrente che segue gli insegnamenti dei Children Of Bodom. So che starete pensando che sono un ingenuo, ma non riesco veramente a concepire un gruppo con un suono così… costruito.

I ragazzi le idee le hanno molto ben chiare, e sono pure dei buoni compositori, come dimostrano nell’uso degli arrangiamenti. Ma quando parte “Blade” viene proprio da chiedersi cosa cambi dal più noto Hatebreeder. Col proseguire delle tracce una differenza emerge: come quasi tutti i gruppi che hanno fatto da successori ai COB, anche questi Imperanon sono riusciti a dare un’impronta ulteriormente easy-listening alle loro canzoni. Sempre molto lineari, con un riffing di base immutabile, arrangiamenti più che melodici e tastiere sempre pronte ad addolcire i momenti più difficili. Su questa struttura spesso (non sempre, per carità) banale poi il gruppo costruisce e sviluppa anche delle buone intuizioni, ma sempre badando a non uscire dal seminato, stando attento a battere sul sicuro.

Ovviamente la produzione è più che pulita e il gruppo sa tenere in mano gli strumenti. Ovviamente non mancano fraseggi di tastiera che inseguono fraseggi di chitarra. Ovviamente non mancano assoli che emulano il piacevole gusto melodico a cui il genere si ancora. Ovviamente, per dirla breve, non manca nulla di quanto ci si possa aspettare sommando tutti i canoni arcinoti: il problema diventa dunque vedere quel che il gruppo ci aggiunge. Bene, senza aver paura di esagerare, posso azzardare che in questo Stained il gruppo è riuscito a non introdurre la benchè minima novità. Se non considerate novità la breve apparizione dei puliti in “Bollow Man“. Si è arrivati ad appiattire l’originalità a picchi quasi impressionanti, evidenti in episodi quali l’accoppiata “Prisoner In Me” – “Sold“.

Penso di non dover stare a spiegarvi nel dettaglio come suonano il cantato, le tastiere e tutto ciò che contorna o costituisce questo album. Rimando semplicemente (tanto per cambiare) a COB e cloni. Nel dare un giudizio sono rimasto veramente spiazzato: il gruppo è capace, eccome, sia di suonare che di comporre. Che si fa allora? Io me ne tiro fuori con una sufficienza parecchio distaccata, data giusto per il dovere di mettere un numero in fondo alla pagina… Per quanto mi riguarda questo lavoro era del tutto evitabile, un cd che andrà a far polvere tra altri ben più degni di ulteriori ascolti; ovvio che se siete dei die-hard fans di uno dei filoni più abusati il discorso è ben diverso. Il consiglio personale resta in ogni caso quello di guardarvi in giro: la scena è tanto affollata che ci si può permettere di rivolgersi a certi lavori, se non altro, con un pizzico di indignazione. Questo è uno di quelli.
Matteo Bovio

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