Recensione: Stalingrad
Dopo aver messo in bacheca l’ipotetica Champions League dell’HM classico nel 2010, i tedeschi Accept tornano all’assalto del più ambito trofeo continentale quest’anno, forti della schiacciante vittoria ottenuta con le dodici canzoni schierate all’interno della formazione tipo agghindata con la casacca color sangue vivo e il logo Blood Of The Nations bene in mostra sul davanti, all’altezza del petto, laddove batte l’heart of steele.
Praticità unita al bel gioco poggiando su schemi per nulla rivoluzionari ma tremendamente efficaci: questa la ricetta utilizzata dal combo capitanato dall’allenatore/giocatore Wolf Hoffmann, chitarrista di lungo corso dal passato glorioso già con innumerevoli attestati ottenuti sui campi – ops, palchi – di tutto il mondo in virtù di dischi formidabili quali Balls To The Wall e Restless And Wild, per limitarsi a due.
La rifondazione e il nuovo corso dell’FC Accept evidentemente riesce a sopperire degnamente alla rinuncia del centravanti plurititolato Udo Dirkschneider, sostituito da tale Mark Tornillo, fubolista dai buoni trascorsi nella serie minore, uno che aveva attaccato le scarpette bullonate al chiodo relativamente presto, non per demerito ma per i continui problemi societari in seno al T.T. Quick FC.
“Squadra che vince non si cambia”, recitava un antico adagio pedatorio e infatti gli Accept confermano in toto struttura e organigramma societario confezionando dieci nuove cannonate metalliche che sulla carta dovrebbero ambire a bissare i risultati di due anni prima. Sostanziale continuità anche nei riguardi della divisa: pregiato granata sabaudo con scritta nera al centro dai caratteri grafici zaristi.
Chiudendo la parafrasi calcistica e tornando con i piedi per terra nel mondo del Metallo Classico, tanto per capire i toni della sfida lanciata da Hoffmann, Baltes & Co. basti citare un po’ di numeri. Blood Of the Nations è riuscito a vendere più di 100.000 copie, cosa che ha portato i redivivi Accept a fare da headliner al Bang Your Head e ai Sonisphere di Bucarest e Istanbul, oltre a condividere il palco con gli AC/DC di fronte a oltre 150.000 fan.
Inavitabilmente grandi, quindi, le aspettative dell’universo intero nei confronti del successore di cotanta rivelazione, dal titolo di Stalingrad, sempre prodotto da Andy Sneap (Megadeth, Exodus, Arch Enemy, Nevermore, Hell).
Gli Accept, così come i Running Wild, si riconoscono dopo la prima pennata: l’opener Hung, Drawn And Quartered è già uno straclassico del gruppo che sa assestare fin da subito il pugno del ko senza inventarsi nulla di nuovo. L’essenza dell’HM classico made in Germany risiede qua: riffoni spaccaossa sorretti da una potenza alle casse devastante, cori possenti, velocità sostenuta e un signore dietro al microfono dall’ugola cartavetrata che sa il fatto suo. A bissare l’effetto ci pensa la solenne title track, canzone che parrebbe estratta dall’album Russian Roulette che spinge ancora più in là l’enfasi acceptiana legata ai chorus.
Trascurabili Hellfire e Flash to Bang Time, le reali emozioni siderurgiche provengono dalla militaresca Shadow Soldiers, fortissimamente Restless&Wild oriented e dotata di coro fottutamente penetrante, tanto da restare nella testa per giorni e giorni.
Revolution svela lati completamente inediti nel tipico songwriting degli Accept, innestando su un brano à la Grave Digger un refrain con provocazione vocale incorporata degna di nota. Passa senza sconquassi l’autoreferenziale – forse anche troppo – Against the World e dopo tanto acciaio diretto allo stomaco è sulle note di Twist of Fate che i tedeschi rimembrano al globo che non a caso i riff epico/melodici di Hoffmann – e di Herman Frank – sono passati alla storia dalla porta principale.
Ennesima mazzata di heavy metal purissimo nella veloce The Quick and the Dead e note finali affidate all’eroica – nelle intenzioni – The Galley, troppo ripetitiva e totalmente deludente, eccezion fatta per il finale arpeggiato.
Stalingrad è un poderoso album di HM, in grado di annientare il 90% della concorrenza in territori ortodossi. I cali di tensione vengono bilanciati da altrettanti episodi vincenti, lasciando a quello che resta, di assoluta sostanza, la responsabilità di fare la differenza sugli altri. Bissare Blood Of The Nations sarebbe stata impresa titanica, anche per dei campioni come i teutonici originari di Solingen.
La forza degli Accept è rappresentata dalla Loro coerenza. A dispetto di altre band monumentali del genere che talvolta intraprendono percorsi musicali alternativi – in senso ultra-letterale, s’intende! – dai dubbi risultati finali, i Nostri cercano di coniugare al meglio quello che da sempre sanno fare bene, ossia pure fucking heavy metal senza ma e senza se. Delle certezze, insomma, ieri come ora e sempre!
Stefano “Steven Rich” Ricetti
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Tracklist:
1. Hung, Drawn and Quartered
2. Stalingrad
3. Hellfire
4. Flash to Bang Time
5. Shadow Soldiers
6. Revolution
7. Against the World
8. Twist of Fate
9. The Quick and the Dead
10. The Galley
Line-up:
WOLF HOFFMANN – chitarra
PETER BALTES – basso
MARK TORNILLO – voce
HERMAN FRANK – chitarra
STEFAN SCHWARZMANN – batteria