Recensione: Stand United

Di Manuel Gregorin - 24 Luglio 2024 - 0:01
Stand United
Band: Firewind
Etichetta: AFM Records
Genere: Power 
Anno: 2024
Nazione:
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75

Molti metallaretti di mezza tacca, conoscono Gus G. solamente come quel chitarrista mai sentito prima che ha suonato su Scream di Ozzy Osbourne. Una meteora poi sparita chissà dove, una volta rientrato in formazione il tagliaboschi della sei corde Zakk Wylde.

Chi però la nostra musica la mastica un po’ più a fondo, sa bene chi è Gus G.
E sa anche che il periodo alla corte di Ozzy è stato solo un capitolo di una lunga carriera. Gus infatti vanta collaborazioni con Dream Evil, Mystic Prophecy, Nightrage ed Arch Enemy. Fra i tanti però, vanno sicuramente menzionati i Firewind, band che ha sempre ruotato attorno alla figura del chitarrista ellenico. Formatisi nel 1998, durante l’esperienza americana di Gus G, i Firewind hanno praticamente fatto da biglietto da visita al talentuoso chitarrista, contribuendo a far circolare il suo nome nella scena metal. Ora, con il nuovo Stand United, edito dalla AFM Records, i Firewind giungono al decimo album in studio. Dopo l’abbandono di Bob Katsionis la formazione viene ridotta a quartetto, con Gus G. che và ad occuparsi sia delle chitarre che delle tastiere. Resta invariata la sezione ritmica composta da Petros Christo al basso e Jo Nunez alla batteria. Infine il cantante Herbie Langhans, subentrato nel 2020 a ricoprire il ruolo che fu di Apollo Papathanasio prima, e Henning Basse dopo.

Il titolo di quest’opera, vuole essere un ritratto dei tempi odierni. Proprio in merito agli argomenti affrontati in Stand United, Gus G. ha dichiarato: “Questo mondo sembra essere sempre più sbilanciato, con disastri ambientali, pandemie e guerre che attualmente imperversano. In questi tempi, è più importante che mai per l’umanità stare uniti invece di combattersi a vicenda“.
Non necessariamente un concept vero e proprio, ha specificato l’artista greco, ma un filo conduttore che unisce tutti i vari brani presenti. Concetti che i Firewind vogliono esprimere fin dalla copertina di Costin Chioreanu (artista che ha già lavorato con Grave e Mayhem). L’opera riporta infatti un collage di volti che stanno a raffigurare guerra, avidità, tradimento, amore e unità, tutte tematiche che troviamo trattate all’Interno di Stand United. Musicalmente il disco, oltre alla formula power, include anche heavy classico e hard rock.

Le ritmiche fiammeggianti di Salvation Day aprono le danze con un brano avvincente in cui spiccano delle belle melodie. Immancabile poi l’assolo di Gus G. fatto con buon gusto. Un riff di chitarra fulminante ci introduce alla title track, un pezzo hard n’heavy di scuola Judas Priest. Traccia easy listening invece la seguente Destiny is Calling, con il suo punto di forza nel coinvolgere ritornello.
Più ruvidi invece i due pezzi seguenti. Come Undone ha una struttura robusta che però non perde mai d’occhio la melodia. La spigolosa The Power Lies Within invece, si presenta con la veste di un graffiante metal stradaiolo. Su Fallen Angel i Firewind decidono di provare a fare gli Accept, complice anche la prova canora di Herbie Langhans ben impegnato ad immedesimarsi nell’Udo Dirkschneider della situazione.

Su Chains, si vanno ad esplorare i sentieri dell’hard rock radiofonico anni 80 di scuola americana. Un genere che, sarà per l’irresistibile magia del vintage, ma riesce ancora a fare la sua bella figura anche se riproposto con trent’anni di ritardo.
Land of Chaos è un heavy metal fiammeggiante e viscerale come da copione. Non particolarmente eccelso ma che si lascia ascoltare.

I Firewind si concedono anche lo sfizio di una cover, per la precisione Talking in Your Sleep dei The Romantics. Un brano magari un po’ inusuale per Gus G. e soci, i quali però, dimostrano una certa versatilità andando ad abbracciare certe sonorità funky. In conclusione Days of Grace, una semi ballad che con lo scorrere dei minuti assume sempre più vigore fino a sfociare in un grintoso heavy metal che culmina in un pregevole assolo di Gus G.

Stand United può essere definito un buon lavoro, grazie anche ad un’ottima prova della band. Gus G. dal canto suo opta per la saggia decisione di puntare su riff e melodie coinvolgenti senza cadere nella tentazione di strafare cimentandosi in virtuosi esibizionismi da shredder. Una mossa indovinata che rende questo lavoro alla portata anche di chi non mastica scale articolate e pentagrammi. Va anche detto però, che magari a livello di songwriting si poteva fare qualcosa di più. Pur essendo presenti buoni brani, bisogna riconoscere che nessuno di essi ha quel guizzo particolare, o quel colpo di genio che faccia saltare dalla sedia, permettendo a Stand United di guadagnare qualche punto in più. I pezzi, per quanto piacevoli, viaggiano tutti sulla stessa quota.
Ciò dà a Stand United un’eccessiva linearità rendendolo sì piacevole, ma non particolarmente emozionante.

Un buon prodotto, ma con un potenziale sfruttato solo in parte. Assicurati in ogni caso, quaranta minuti di sano headbanging…

 

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