Recensione: Stand up and Fight
Fin dall’alba dei tempi la musica è stata buona amica dell’uomo. Dal giorno in cui un homo erectus ha tentato di imitare il cinguettio di un uccello fino ai rave che rimbombano per le strade di una metropoli, la musica ha seguito di pari passo il bisogno dell’umanità di esprimere sensazioni, colori e immagini sfregando, pizzicando o percuotendo crini di cavallo e pezzi di legno. Ogni periodo della storia ha avuto le proprie mode, e il fatto che determinati costumi cadano in disuso non significa necessariamente che non rappresentino ancora i desideri di una parte di umanità.
Prendiamo le corse di bighe: un tempo si correva nei circhi con fruste e arpioni, adesso si sfreccia su un ovale con 60 macchine tutte uguali in attesa di un incidente.
Prendiamo il teatro: l’attrattiva nei confronti del popolino che poteva estraniarsi dalla realtà e farsi trascinare in un altro mondo per un paio d’ore senza doversi necessariamente sciroppare un libro era inestimabile: ora c’è la televisione.
Prendiamo l’opera: la voglia di grandeur esasperato di una certa frangia di compositori e musicisti trovava sfogo in epopee immense, drammatiche, visionarie, trascinanti grazie a orchestre, cori e scenografie spesso faraoniche. Ora nuove forme di intrattenimento hanno relegato l’opera alla gloria dei tempi che furono, ma non è detto che non esistano esseri umani che hanno ancora in sé la voglia di esprimere un certo tipo di epos esplosivo attraverso orchestre, cori e arrangiamenti polifonici.
Le mode, in quanto artefatti umani figli dei propri tempi, sono fatte per passare; tuttavia le inclinazioni naturali dell’umanità a esprimere determinate sensazioni in un certo modo permangono anche a distanza di secoli, a prescindere dalle mode in auge.
Se Rossini fosse nato nel 1976 probabilmente non avrebbe potuto scrivere il Guglielmo Tell nella forma in cui lo conosciamo ora: l’opera celebrativa è più parte di questa società. Per cui, magari, il suo innato talento di compositore operistico avrebbe trovato sfogo in un film d fantasy storico… o in un album di power metal. I paragoni tra certi tipi di metal e l’opera non sono di certo una novità e molti avranno pensato che arie celebri come il coro degli zingari del Trovatore o l’Ouverture 1812 con le sue cannonate sarebbero più che perfette per un album metal epico come dio comanda.
Probabilmente con i Turisas ci troviamo di fronte a un caso simile: tra i membri della band serpeggia un bisogno ancestrale di creare opera di furor bellico, palese fin da Heart of Turisas, e album dopo album non hanno fatto altro che calcare la mano, spinti dal successo e sorretti da una fonte inesauribile di denaro chiamata Century Media. È più forte di loro: il metal è rimasto l’unico mezzo per esprimere ciò che 150 anni fa era considerato la massima espressione della creatività lirica e compositiva.
Stand up and Fight è la coronazione di un sogno che in molti credevano già coronato ai tempi di Varangian Way: un immenso affresco bellico dipinto maniacalmente dalla ossessione per l’epos operistico sinfonico di Mathias “Warlord” Nygård. Sterminati campi di battaglia, eserciti ruggenti che si affrontano sotto il rombo dei tuoni e dei venti di tempesta, lame saettanti, mercenari che cantano la loro missione senza un domani, guerrieri morenti che innalzano suppliche a cieli gravidi di pioggia e frotte di divinità che si scontrano nella gelida luce di mille soli in eclisse totale.
Tutto è esagerazione compulsiva sul filo dell’ossessionante, troppa grazia sulla carta per essere espressa in musica da sei giovani con mezzi troppo limitati per un fine tanto grandioso.
Le melodie rovesciate sul piatto, spogliate di tutte le vesti sinfoniche attorno alle quali sono strettamente avvolte, risultano in realtà semplici e fin troppo catchy, tanto che rimangono impresse nella mente fin dal primo ascolto. Le canzoni finiscono per assomigliarsi un po’ tutte, stanti i testi fin troppo banali scanditi da una voce pulitissima, nuovo amore del superbo frontman che tuttavia avrebbe bisogno di più di tecnica e un po’ meno autoindulgenza narcisistica.
Beninteso, le melodie funzionano, ma la loro enorme pastosità di fondo le rende troppo pesanti per l’ascolto occasionale. Come una grande opera, vanno ascoltate come seduti a teatro: ogni altra occasione risulta troppo vana per un’opera tanto impegnativa sotto ogni profilo. L’obiettivo di un album come Stand up and Fight è uno e solo uno: i fan dei Turisas, di quel war metal esacerbato fino allo sfinimento, gli amanti del volto più platealmente epico della letteratura fantasy, dei giochi di ruolo, dei film di cappa e spada che hanno spopolato dai tempi di Excalibur fino ai giorni della trilogia del Signore degli Anelli.
Chi cerca dalla propria musica una galoppata continua tra violini, tromboni, cori virili e schitarrate Rhapsodyane e Manowarose, troverà nell’ultima fatica dei Turisas pane per i propri denti.
Ma dietro la luce accecante di un’opera quasi arrogante nella sua fastosità, si cela un prodotto troppo spesso carente e minato da lunghi momenti retorici e capziosamente super-elaborati che di tanto in tanto mostrano delle fastidiose ingenuità a livello di composizioni, arrangiamenti e di contenuto lirico.
Insomma, una bomba che esplode a mezz’aria facendo un gran rumore senza colpire direttamente il bersaglio, che dividerà i fan più sfegatati – che ameranno quest’album alla follia – da quelli il cui livello di sopportazione non è altrettanto alto.
L’equilibrio dell’ottimo Varangian Way è stato spezzato e la via intrapresa è ormai a senso unico.
“Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris? Nescio. Sed fieri sentio et excrucior.”
Daniele “Fenrir” Balestrieri
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TRACKLIST:
1. The March Of The Varangian Guard
2. Take The Day!
3. Hunting Pirates
4. Venetoi! – Prasinoi!
5. Stand Up And Fight
6. The Great Escape
7. Fear The Fear
8. End Of An Empire
9. The Bosphorus Freezes Over