Recensione: Stand Up And Fight
Storia un po’ travagliata quella dei portoghesi Booby Trap (… “sarà l’unica!!!” … direte voi). Nati come quintetto nel 1993 si fermano nel 1997 dopo aver messo in giro un paio di demo e partecipato ad uno split. Nel 2012 il gruppo ci riprova, rinunciando ad un’ascia (Nuno Barbosa) e chiamando il bassista Carlos Ferreira. Con questa formazione a quattro inizia la loro carriera discografica, che vede l’uscita dell’album ‘Survival’ nel 2013, seguito da ‘Overloaded’ nel 2016, nel quale suona la batteria Hugo Lemos al posto di Miguel Santos.
Ancora un po’ di fermento, con l’ingresso di Tojo al basso al posto di Carlos Ferreira, ed il combo incide il terzo full-length: ‘Stand Up And Fight’, disponibile via Firecum Records dal 18 marzo 2019.
Il loro dovrebbe essere un Thrash Crossover, ossia un sottogenere del Thrash in cui le influenze Hardcore Punk sono molto forti e più evidenti rispetto a quelle Metal.
Dico dovrebbe, perché di Hardcore Punk in ‘Stand Up And Fight’ se ne sente poco. Il sound dei Booby Trap, difatti, è molto distante da quanto prodotto da gruppi quali Nuclear Assault, D.R.I., Stormtroopers of Death ed i, relativamente più recenti, Municipal Waste, la cui forza straordinaria, data dalla loro musica, riesce a trasmettere quella carica aggressiva e trasgressiva che chiama a rivoltarsi contro quella parte della società malsana e corrotta.
Al loro confronto il Crossover dei portoghesi appare debole e quasi privo di carica, finendo per essere anche un po’ monotono, neanche eseguire la cover di ‘Alcohol’ dei Gang Green, pur se discretamente, li aiuta, soprattutto se la si confronta con la mazzata che i Tankard hanno dato riprendendo lo stesso pezzo in ‘Chemical Invasion’.
Non parliamo poi di ‘A Massage of love’, di soli nove secondi, che non esprime nulla, se non il far sembrare che mandi tutti a quel paese senza dare un perché, durando meno del tempo che è servito per leggere queste righe. Se ci rifacciamo al passato e prendiamo, come esempio, ‘Hang the Pope’, scritta dai Nuclear Assault ed inclusa in ‘Game Over’ del 1986, aveva sì un senso che durasse solo una manciata di secondi (quarantasei per la precisione): rapida, tagliente e trasgressiva, in un attimo diceva tutto con estrema franchezza, in un momento storico dove un argomento del genere era largamente censurato. Ma ‘A Massage of Love’ non entra e passa come non si fosse ascoltata; non riesce neanche ad essere un momento di stacco.
Anche se si pensa a ‘Stand Up And Fight’ come ad un album Thrash si finisce, più o meno, nello stesso vicolo malsano: ci sono tanti buoni inizi, questo si, anche interessanti, che però poi tracollano senza essere sviluppati.
Peccato, perché, a parere del sottoscritto, la band riuscirebbe meglio se togliesse il piede dall’acceleratore e virasse un po’ di più verso il Thrash classico.
Questo si evidenzia in ‘Fuckers’, ‘Full of Shit’ e, soprattutto, nell’ultima ‘The Ritual’, un pezzo di vero Heavy Metal fuori dagli schemi dell’album, carico di enfasi ed epico, con un assolo coinvolgente. Ma le scelte stilistiche dipendono dalla vena artistica dei musicisti, che non può essere ignorata solo per ottenere il consenso dei fans. Meglio musica vera, anche se non fantastica, che un qualcosa di costruito a tavolino che, alla fine, sa di freddo.
Descrivere gli altri pezzi non serve, sono più o meno tutti uguali. Cosa dire per concludere: ‘Stand Up And Fight’ si può anche ascoltare, solo che dopo si rischia di dimenticare dove lo si è messo. Tre soli pezzi validi sono pochi per poterlo giudicare positivamente; purtroppo, con tale album i Booby Trap non raggiungono la sufficienza.