Recensione: Starbreaker
Cast di prima categoria per questa all-stars-band nata senza troppo rumore e sviluppatasi quasi in silenzio negli studi del noto producer Fabrizio Grossi (Glenn Hughes, Tommy Funderburk, Steve Vai, Nina Hagen, Vertigo, House of Lords, Over The Edge, Danny Vaughn, Perfect World), qui anche in veste di bassista, circondatosi di artisti del calibro di Tony Harnell (voce dei TNT), Magnuss Karlsson (chitarra dei Last Tribe), e John Macaluso (batterista degli Ark, già con Malmsteen e con i Conception).
Viste le promettenti premesse – mi scuserete per il gioco di parole – non rimane che interrogarsi sulla proposta musicale degli Starbreaker. Sinceramente mi sarei aspettato qualcosa di vicino all’hard rock melodico / AOR, ma devo dire di essere rimasto leggermente spiazzato dal sound della band, molto più power oriented, anche se si tratta di un power “intelligente” e di classe, che spesso e volentieri si avvicina a quello che ormai i Masterplan hanno definito come un nuovo personale standard. In effetti le chitarre aggressive, con i riffing stoppati che si alternano ad eleganti soli arrangiati persino sulle strofe cantate, trovano strada grazie al drumming estroverso e dirompente del grandissimo John Macaluso, a dimostrazione del fatto che la qualità – ma soprattutto la varietà – ritmica si ripercuote inevitabilmente e pesantemente sulla resa complessiva di un disco.
Aggiungiamo pure, ciliegina sulla torta, il cantato di Tony Harnell, che non sarà Jorn Lande, ma non è da meno quanto a ruffianeria, per la prima volta alle prese con melodie moderniste non del tutto immediate, e con una varietà timbrico-tecnica che non è facilmente ravvisabile nelle uscite tipicamente power-metal, e forse neanche AOR.
Difficile additare i brani migliori, forse il trittico killer iniziale è indicativo per apprezzare il mood dell’intero album, mentre risulta poco convince la strumentale “Dragonfly”, che da una parte vede Macaluso, Grossi e Karlsson sbizzarrirsi in ciò che probabilmente è loro più congeniale, una sorta di neo prog melodico e asfissiante al contempo, dall’altra risulta una noiosa esibizione di tecnica slegata dal contesto.
Gli unici nei sono da riscontrare nella produzione, sicuramente sopra la media, ma che evidenzia in maniera eccessiva le chitarre, addirittura imbarazzante per quanto riguarda il suono quasi punk del rullante.
In definitiva, un ottimo debut, adombrato da qualche pecca di produzione, e, soprattuto dal gigante Masterplan, non solo in vantaggio temporale, ma anche e di gran lunga avanti grazie al bombardamento mediatico promozionale.
Tracklist:
- Die For You
- Lies
- Break My Bones
- Crushed
- Days of Confusion
- Transparent
- Light at the End of the World
- Cradle to the Grave
- Underneath a Falling Sky
- Turn it Off
- Dragonfly
- Save Yourself