Recensione: Stare Into Death And Be Still

Di Gianluca Fontanesi - 27 Aprile 2020 - 0:03
Stare Into Death And Be Still
Band: Ulcerate
Etichetta: Debemur Morti
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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87

“Niente è sicuro fuorché la morte.” (Lucio Anneo Seneca)

Gli ultimi anni di death metal, colpevolmente imbastardito dalla nate dopo, nate tardi e nate male influenze ‘core, hanno visto un grandioso ritorno al passato e a un marciume primordiale che sembrava ormai aver abbandonato le arti estreme. Piano piano, complici grandi band che ancora sanno il fatto loro e un progressivo rinsavimento del pubblico, il death metal è tornato ad essere death metal e le cose sono finalmente tornate a posto. In quel di Auckland, però, gli avvenimenti hanno preso una piega diversa…

“Non piangete, è l’ora della gioia.” (Papa Giovanni XXIII)

Serviva qualcuno che col genere giocasse un po’ a Shanghai, riscrivendone le regole e inventando un modo nuovo di concepirlo sia strumentalmente che concettualmente, ed ecco arrivare gli Ulcerate. In Nuova Zelanda tirava un’aria diversa o forse le mode occidentali non arrivavano, fatto sta che il terzetto agì come i Deathspell Omega nel black metal: distrussero, decostruirono e assemblarono il puzzle in una maniera mai ascoltata prima tranne che in pochi ibridi appena accennati. Il death metal diventò quindi diversamente arcigno, cattivo e dotato di nuova e pulsante linfa. Cambiò il riffing, sparì la sezione ritmica in 2/4 e il sound diventò organico, una palude in grado di fagocitare tutto. Nel 2020, quattro anni dopo il precedente Shrines Of Paralysis, la bestia muta ancora una volta.

“Questo paese sconosciuto da cui nessun viaggiatore è tornato.” (William Shakespeare)

Stare Into Death And Be Still è il sesto album dei neozelandesi, esce per Debemur Morti dopo un lungo sodalizio con Relapse ed è, togliamoci subito il sasso dalle scarpe, un capolavoro. E uno degli album estremi migliori degli ultimi anni, direttamente e senza passare dal via. Prendetevi poco meno di un’ora, sdraiatevi da qualche parte, premete play e ascoltate in rigoroso silenzio; non ci sono altri metodi di fruizione o altre chiavi di lettura. Il disco esce in tempi funesti per l’umanità e tratta la morte in un periodo dove di tutto vorremmo parlare tranne che di lei. L’opera degli Ulcerate si focalizza infatti sul fatto che la morte non sia sempre improvvisa o violenta ma spesso l’essere umano è costretto ad osservarne il suo sopraggiungere intrappolato nell’orrore di un silenzioso osservare. Questo concetto è espresso come “riverenza verso la morte” ed è il leitmotiv del disco.

“Che cosa è la morte per me? Un grado di più nella calma, e forse nel silenzio.” (Alexandre Dumas padre)

Stare Into Death And Be Still mantiene ben chiare le coordinate artistiche finora imbastite dagli Ulcerate, ma lo fa esplorando nuovi territori espressivi. Il sound è sempre aggressivo e magmatico ma risulta più intimo e focalizzato a dilatare i tempi. Nel riffing vengono quasi totalmente eliminati i palm mute e ci si focalizza su arpeggi, tremolo e progressioni di accordi; vi è un’apertura inedita alla melodia e il tutto riesce comunque a essere pesante come un macigno. Non esistono i virtuosismi in questo disco come non ci sono parti solistiche o altre amenità, non ce n’è bisogno ed in casa Ulcerate è il riff a comandare. La sezione ritmica è come sempre qualcosa di sovrumano: ogni colpo ha un perché ed è totalmente al servizio del brano, sia che si rallenti fino al più violento e veloce dei blast beat. Il growl di Paul ormai è un marchio di fabbrica inconfondibile e non fatevi venire la bislacca idea di trovarvi qualche variazione, perché sareste totalmente fuori strada. La produzione è cristallina e lascia percepire ogni singola nota o colpo di batteria, pur offrendo il solito giusto gradiente di sporcizia che caratterizza le opere dei neozelandesi. Sono otto i brani dell’opera, che si assestano praticamente tutti tra i sette e gli otto minuti di durata e non ce n’è uno che spicca in particolar modo. Tutti sono di livello altissimo e attualmente inarrivabile per la maggior parte dei comuni mortali.

“Un artista ha la morte sempre con sé, come un bravo prete il suo breviario.” (Heinrich Boll)

Perché quindi il nuovo nato in casa Ulcerate è un capolavoro? Oltre al fatto che non troverete là fuori nulla a questo livello e suonato in questa maniera, la ragione principale sta nella proiezione e nell’impatto che i brani hanno a livello umano. Stare Into Death And Be Still non è semplicemente un disco, non è semplicemente death metal e non è il solito pugno nella pancia ma direttamente un seppuku, a seguito del quale si rimane inchiodati per un’ora ad aspettare e osservare inermi.  E’ un disco che ti fa pensare non alla fine in sé ma a una situazione dove sai che sta arrivando e sei lì ad osservarla ed ascoltarla, con la falce che volteggia sinuosa e ammiccante come un avvoltoio. Nel mentre, in quei momenti e in quel limbo, trova un senso anche la vita.

“Questo ricordo non vi consoli                                                                                                                                                               Quando si muore si muore si muore soli.” (Fabrizio De André)

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