Recensione: Steeler

Di DARKENED - 9 Settembre 2003 - 0:00
Steeler
Band: Steeler
Etichetta:
Genere:
Anno: 1983
Nazione:
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80

Tanti conoscono il debut album di YNGWIE MALMSTEEN, ossia quel “RISING FORCE” che irruppe sulla scena musicale plasmando un nuovo genere: il metal neoclassico.
Pochi invece conoscono dell’esistenza di questo album che rappresenta in assoluto il debutto del virtuoso delle sei corde svedese(se escludiamo “Birth of the sun” che comunque originariamente è poco più di un demo).
Negli STEELER l’unico superstite della line-up originale della band che aveva debuttato con il single “Cold Day In Hell”, trovando spazio nella prima edizione di “Metal Massacre I” è il vocalist Ron Keel.
Pochi mesi dopo infatti ai vari Michael Dunigan , Tim Morrison e Mark Scott si sostituiscono gli altri tre ragazzi le cui effigie ritroviamo sulla copertina dell’album in questione.
Evidentemente qualcosa deve essersi incrinato nei progetti della band in quanto i primi STEELER avrebbero dovuto anche pubblicare il loro battle cry “American Metal” su un’ulteriore compilation: “HM RULES”.
Il bassista Rick Fox, il drummer Mark Edwards, il sopraccitato cantante Ron Keel ed YNGWIE MALMSTEEN danno vita ad un album che, pubblicato su una HM label indipendente come la Shrapnel, si inserisce nella tradizione del più collaudato hard rock veloce con riffs accattivanti sin dal primo ascolto alla AC-DC, mutuando anche l’impeto dei primi Judas Priest.
Anche se l’allora ragazzino svedese alla chitarra (appena 19 anni) non sembra prevaricare gli altri quanto a visibilità, e sulla foto di copertina e nelle scarne indicazioni del booklit interno, è sin troppo evidente fin dal primo ascolto che è il buon YNGWIE ad accaparrarsi come solista buona parte della durata del disco, anticipando poi quello che nei suoi album seguenti sarà il leitmotiv ricorrente.
Nonostante l’ingordigia dello svedese, del quale da ragazzino imparava a memoria ogni singola nota di ogni assolo di Ritchie Blackmore, non sfigurano gli altri musicisti, in particolare il cantante Ron Keel che riesce ad alternare sequenze in cui esibisce una voce al vetriolo a momenti in cui effonde una voce mielosa e strappalacrime come nell’ultima traccia “Serenade”.
Sicuramente tra i momenti più incisivi di quest’album vi è la traccia 3 “No way out”, in cui YNWIE nella frase d’apertura con la chitarra acustica usa una scala armonica minore, per la precisione quella di La minore armonica, per poi dare spazio ad un’entrata a velocità incredibile della chitarra elettrica con la quale esegue la medesima scala che, sovrapposta ad altre sonorità, genera una senzazione ed un sound molto ambiguo.
Più che per sonorità viene però da pensare che la scelta di YNGWIE sia in funzione della diteggiatura. In questo modo infatti ci si ritrova con tre note per ogni corda, il che permette di usare la pennata sweep.La parte finale della frase è eseguita invece con plettrata alternata.
La successiva traccia “Hot on your heels” anch’essa sulla falsariga della precedente, dimostra ancora una volta le abilità tecniche del virtuoso svedese che ripropone con un assolo introduttivo diviso tra acustica ed elettrica la stessa scala minore armonica con piccole varianti e che come sempre finiscono con qualche chilo di vibrato.
Menzione merita infine come ho già accennato la traccia di chiusura “Serenade”, caratterizzata da una successione di versi cantati con una rara trasportazione da un Ron Keel ispirato, supportati dapprima da un arpeggio di chitarra eccezionalmente non velocissimo, e solo in seguito entrano in scena basso e batteria che si innestano senza alterare la natura del brano, che è una balld sentimentale.
In definitiva un ottimo album, migliore di tanti che escono in giro oggigiorno, ed ha in sé, allo stesso tempo pregio e difetto di non pretendere di scovare nuovi orizzonti musicali, facendo fede sull’abc della musica: batteria, basso, chitarra e voce.

TRACK LIST:

Cold day in hell
Backseat driver
No way out
Hot on your heels
Abduction
On the rox
Down to the wire
Born to rock
Serenade

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