Recensione: SteppenDoom
Da appassionato di Doom quale sono, non riesco ancora a capacitarmi di come possa essermi perso, lo scorso 18 novembre, l’uscita di Marc Urselli’s SteppenDoom. Immagino siano diversi i lettori a cui questo nome non dice molto, quindi facciamo un passo indietro. Marc Urselli, nato ad Aarau – Svizzera – nel 1977, è un rinomato produttore, ingegnere del suono e compositore che vive tra Londra e New York.
In veste di audio/mixing engineer ha collaborato con artisti come Lou Reed, Nick Cave, Mike Patton, John Zorn, U2, ed Elton John e ha ottenuto 7 nomination e 3 vittorie ai Grammy Awards con album dagli stili assai disparati, che spaziano dal Jazz al Pop e dal Rock al Folk. Come musicista ha realizzato “Churning of the Ocean”, frutto di studio-sessions notturne tra lo stesso Urselli, il regista e chitarrista Jim Jarmusch, Lee Ranaldo (Sonic Youth) e Balázs Pándi (Keiji Haino, Venetian Snares, Merzbow).
Sempre in veste di musicista, Marc Urselli torna con il progetto SteppenDoom a fine 2022. Il termine “progetto” non potrebbe essere più calzante per riferirsi a un disco che, ben lungi dall’essere il risultato del lavoro di una band o di un solista, ha il suo deus ex machina in Urselli che, oltre ad esserne il compositore, suona chitarra, basso a 12 corde, tastiere, batteria e percussioni in tutti i brani, in ognuno dei quali è accompagnato da più ospiti.
E ora passiamo al capitolo ospiti perché, senza nulla togliere al lavoro del talentuoso italo/svizzero, la particolarità di “SteppenDoom” risiede nel fondere lo stile ancestrale di throat singers (vocalist che producono armonizzazioni mediante una tecnica basata sui movimenti di lingua, labbra, mascella e laringe) provenienti da tutto il mondo con alcuni tra i nomi più in vista della scena Doom in una proposta unica e sorprendente. Per capire dove vadano a parare le 8 tracce di cui si compone l’LP (di cui 2 bonus track) si pensi alle linee vocali dei Purpha (di cui un componente figura in effetti su un pezzo) che, invece di adagiarsi sullo strato sonoro dronizzante creato dagli strumenti tradizionali della steppa asiatica, si distendono su musicalità tipicamente Doom Metal.
Considerato che “SteppenDoom” si connota per un’elevata identità stilistica, non ha senso addentrarci nella descrizione dettagliata dei singoli episodi. Il che non significa affatto che i brani siano uguali tra loro, quanto, piuttosto, che dietro a ognuno di essi c’è la deliberata intenzione di offrire un Doom rituale che si aggancia a musicalità ancestrali e tradizionali, in particolare dell’Asia Centrale (letteralmente SteppenDoom significa Doom della steppa), ma non solo.
Si parte con “Etugen Eke & Od Ana”, con le salmodianti litanie di Batzorig Vaanchig “Zorigoo” e il dio del riff Matt Pike (Sleep, High On Fire) alla chitarra, per continuare con “Garuda Khuresh” in cui troviamo Aaron Aedy dei Paradise Lost (chitarra) e Huun-Huur-Tu (voce). Nell’inquietante “Agloolik Igaluk” ci sono l’Inuit canadese Tania Tagaq al microfono e Johannes Persson, leader dei Cult Of Luna, alla 6 corde. Si prosegue con “Tamag & Ocmah”, in cui riecheggiano le sonorità dei Neurosis (Steve Von Till alla chitarra), “Imdugud in Shambhala”, con le percussioni nordiche e battagliere di Christopher Juul degli Heilung e i synth del “nostro” Massimo Pupillo (Zu), e “Peri to Ela Guren”, altro passaggio a dir poco inquietante, con Trey Spruance ai sintetizzatori (e con questo nome riemergono ricordi dell’adolescenza visto che stiamo parlando del chitarrista dei Mr. Bungle, nonché session guitarist in “King for a Day, Fool for the Lifetime”, album dei Faith No More del 1995 che ho amato alla follia).
Non potrebbe essere più Stoner/Doom la prima bonus track “Sedna & Eliduc” con Lori Steinberg degli Acid King alla chitarra, mentre il delirio da oltre 34 minuti della seconda bonus track “A-dkar Theg Pa” è confezionato da un all-star team formato dai tre chitarristi Dave Chandler (Saint Vitus), Scott “Wino” Weinrich dei The Obsessed (i due non suonavano insieme dal 2015, anno in cui Wino uscì dai Saint Vitus) e Norman Westberg (Swans), dalla voce di Alexey Tegin dei Phurpa e da Anders Møller (Ulver) alla batteria.
Alla produzione e dietro al desk di registrazione c’è, neanche a dirlo, Marc Urselli e si capisce perché il ragazzo sia tanto stimato in questi ruoli: il suono è perfetto sia per il bilanciamento tra le parti vocali e quelle strumentali sia per la capacità di far risaltare gli elementi stilistici distintivi dei numerosi ospiti intervenuti.
Sintesi tra uno stile musicale moderno come l’Heavy Metal, nato nell’Inghilterra industriale di fine anni ’60, ed uno antico come il Throat Singing, appartenente a popolazioni indigene che da sempre vivono a strettissimo contatto con la natura, “SteppenDoom” è un esperimento culturale prima ancora che musicale. Per assimilarlo ci vorrà tempo, ma ne sarà valsa la pena una volta che si riuscirà a cogliere a pieno l’antica magia da cui è pervaso e il grido di libertà e di lotta all’oppressione e alle ingiustizie che lancia.