Recensione: Sthenic
Niels Vejlyt è un giovane chitarrista danese. Da quanto ci rivela la sua biografia, il ragazzo è cresciuto consumando corde su corde nel tentativo di imitare i suoi idoli, musicisti che portano nomi ben conosciuti alle folle: Yngwie J. Malmsteen, Steve Vai e Joe Satriani, tanto per citarne alcuni. Sbandierando un simile percorso formativo, è difficile pensare che la proposta musicale di Vejlyt differisca in maniera sostanziale da quella dei suoi numi tutelari. E invece…niente; il danese aspira proprio a fregiarsi del titolo di guitar hero, vuole dimostrare al mondo di essere un musicista tecnico e talentuoso, in grado di accostare l’abilità puramente meccanica alla creatività. Sedetevi comodi e preparatevi all’ascolto!
Il disco apre in maniera ampia e maestosa con Heads Up, un brano molto piacevole, caratterizzato da ritmi tranquilli e riff imponenti, dove la chitarra regna, ovviamente, sovrana. Unico appunto, viste le sonorità, più che a un’introduzione, sembra di ascoltare una chiusura. I toni si inspessiscono e cadono pesanti con l’arrivo di Die Today. La chitarra solista di Vejlyt si inasprisce e graffia su frequenze più acute, mentre gli altri strumentisti si limitano ad accompagnare il danese nei suoi equilibrismi sonori, caratterizzati da velocità sostenute e tecnica ineccepibile. Il brano potrebbe durare tranquillamente un minuto di meno, ma non diventa mai noioso. Rain esordisce in maniera piuttosto aggressiva, prima che un’esplosione di note rapide e avvolgenti cominci a tempestare le casse, in un’alternanza di momenti tonici ed eterei che intriga l’ascoltatore e lo trasporta tra crescendo barocchi, rimandi e gingilli sonori di vario genere. Il titolo orientaleggiante non vi tragga in inganno, Samurai è un pezzo che rispecchia pienamente la tradizione musicale instaurata dai grandi chitarristi europei e statunitensi, con scale suonate a tutta velocità e arpeggi tecnici, un brano che punta i riflettori sulle dita e sul plettro del solista danese, mettendo in ombra qualunque altro elemento di contorno. Non male, anche se un po’ pretenzioso nell’esecuzione.
Superiamo la metà del disco con Meteors dove, avventurandoci in un territorio di nuove tonalità, viene avviato un momento di sperimentazione in cui, a fianco di elementi di più ampio respiro, convivono inserti dal sapore arabeggiante e misterioso. Un’utile trovata per alleggerire il carico dell’album e stemperarne la potenziale ripetitività. La malmsteeniana My Little Rascal è un’elevazione a potenza di quanto già ascoltato, un tripudio di falangi che si inarcano e si flettono rapidamente, mantenendo, comunque, un suono pulito e ineccepibile. Nonostante tutto, però, è il brano più banale dell’intero disco, troppo incentrato sulla tecnica, perde di vista qualunque altro obiettivo. Kajsa si apre con un pianoforte morbido e malinconico che, lentamente, costruisce il trampolino di lancio per la chitarra di Vejlyt. Mai come in questa traccia, il danese mostra di sapersi muovere agevolmente anche rallentando il metronomo, tirando fuori una costruzione composta, molto misurata nel suo sviluppo eppure, o forse proprio per questo, davvero emozionante, con lo strumento che quasi si lamenta, echeggiando nostalgico prima di lasciare spazio al lungo brano conclusivo, Winter. La traccia finale si aggancia alla precedente, ripercorrendone le sonorità, ma in maniera più ovattata, prima di esplodere con veemenza in una baraonda di riff e arpeggi che, però, fanno rapidamente spazio a un’esecuzione più ragionata, seppur articolatissima, una sorta di titoli di coda in cui vengono condensate tutte le abilità musicali del talentuoso chitarrista danese, che si diverte a cambiare velocità, tonalità e stile fino all’epilogo.
Per riassumere quanto detto fino ad adesso: Sthenic è un album piuttosto gradevole; tecnicamente, Niels Vejlyt è ineccepibile, anni di pratica incessante finalizzata al raggiungimento del suo obiettivo hanno, evidentemente, dato i loro frutti. Per quanto riguarda l’aspetto creativo, invece, sono un po’ più perplesso: per quanto la maggior parte delle tracce sia appassionante, ci si trova molto spesso a notare una certa mancanza di “cuore”: è normale, durante l’ascolto, apprezzare non tanto il brano in sé, quanto piuttosto l’esecuzione dello stesso. Se il musicista si limitasse a questo disco, il problema sarebbe irrilevante; nel caso, però, voglia proseguire lungo questa strada, farà bene a cercare di rendere i suoi pezzi più sentiti, altrimenti si trasformerà semplicemente in uno sterile genio della tecnica. Ad ogni buon conto, Sthenic è un album che non mancherà di appassionare tutti i fan del genere.
Damiano “kewlar” Fiamin
Discutine sul topic relativo
Tracce:
1. Heads Up (3.23)
2. Die Today (5.12)
3. Rain (4.28)
4. Samurai (4.46)
5. Meteors (4.47)
6. My Little Rascal (4.16)
7. Kajsa (4.19)
8. Winter (9.16)