Recensione: Still Got The Blues
Probabilmente molti dei fan di vecchia data di Gary Moore si sentirono un po’ traditi quando, all’alba degli anni ’90, il riccioluto chitarrista irlandese diede il via alla terza fase della propria carriera, svoltando bruscamente dall’hard ‘n’ heavy patinato degli anni ’80 ad un blues intenso e molto tradizionale.
Dal canto mio, pur riconoscendo la grandezza di alcune perle disseminate in album come “Corridors Of Power” o “Wild Frontier” ed il gusto sempre squisito negli assoli, non faccio mistero di aver sempre preferito i lavori della decade successiva, “Still Got The Blues” e “Afterhours” in particolare, nei quali la vena blues da sempre presente nello stile dell’ ex-Thin Lizzy, trova una perfetta integrazione con atmosfere più morbide e soffuse e pure il cantato, giocato maggiormente su toni bassi e suadenti, mette in luce qualità che venivano strozzate dal registro troppo alto tenuto in alcuni brani della passata produzione.
“Still Got The Blues” rappresenta il primo capitolo discografico di questa nuova dimensione e fin dal primo sguardo rivolto alla bellissima copertina, risulta chiaro il netto cambiamento di stile: niente più borchie e giubbotti di pelle in primo piano,bensì un ipotetico Gary ragazzino che imbraccia la chitarra nella propria cameretta, attorniato dai poster degli idoli di gioventù, cui fa eco, sul retro, un Gary adulto nella medesima posa.
All’ascolto il taglio è altrettanto netto, scompaiono le canzoni propriamente heavy che un anno prima furoreggiavano su “After The War” e, con esse, gli arrangiamenti sintetici tipicamente anni ’80, in favore di un suono d’antan a base di trombe, sassofoni, pianoforte e armoniche, il tutto senza mai rinunciare ad una decisa carica hard che fa un po’ da trait d’union tra i vecchi lavori e i dischi successivi, dal sound ancora più avvolgente e rilassato. Immutati invece lo spirito e le grandi doti d’interprete di un artista dallo stile molto tecnico e dall’approccio sempre e comunque rock ‘n’ roll che, dal canto suo, ha contribuito a rinnovare un po’ gli stilemi di quel blues “addomesticato” e fin troppo salottiero che per un certo periodo è parso andare per la maggiore.
La scaletta è composta da un misto di brani inediti e di cover di grandi classici firmati da alcuni dei maggiori esponenti del rock/blues, molti dei quali fanno spesso capolino tra le note delle canzoni proposte, al fianco di vecchi compagni d’arme del Moore solista e di turnisti di casa in buona parte dei lavori hard ‘n’ heavy degli anni ’80, come Don Airey, Bob Daisley e Brian Downey.
Le iniziali “Moving On” e “Oh Pretty Woman” (quest’ultima totalmente diversa rispetto al grande successo radiofonico di Roy Orbison trainato dall’omonimo film con Richard Gere e Julia Roberts, uscito curiosamente proprio quell’anno) si sviluppano all’insegna di un blues ‘n’ roll scanzonato e divertente in cui Gary può dare libero sfogo alle proprie doti chitarristiche.
Impossibile, a questo proposito, non citare lo spettacolare duetto su “Oh Pretty Woman”, visibile anche nel videoclip che accompagnò il brano all’uscita, con il grande Albert King, a contrapporre il proprio stile minimale fatto di pochi accordi, quasi sussurrati ma dal grande feeling, al tecnicismo roboante fatto di gemiti, urla lancinanti, cascate di note e bending eterni di un Moore in stato di grazia. La movimentata, “Walking By Myself” contrappone la propria verve rock ‘n’ roll alle melodie vellutate di “Still Got The Blues”, grande ballata tipicamente anni ’80 sulla scia delle varie “Falling In Love With You” e “Empty Room”, arrangiata con archi e pianoforte, mentre sale alla ribalta il blues elettrificato con il terzetto seguente. In “Too Tired” pare di sentire echi di Steve Ray Vaughn, mentre “King Of The Blues” vede Moore calarsi alla perfezione nei panni del chitarrista da strada à la Robert Johnson in un pezzo “d’annata”, tuttavia la più divertente è certamente “Texas Strut”, un omaggio visibilmente divertito al grande John Lee Hooker, con un pezzo allegro e brioso animato da un frenetico rincorrersi di grandi assoli e da un cantato istrionico giocato sui toni bassi tipici del grande maestro.
La successiva accoppiata “As The Years Go Passing By” – “Midnight Blues” tocca, forse, l’apice emozionale dell’album con due lenti blues notturni e malinconici assolutamente straordinari in cui il protagonista gioca da par suo con i toni più languidi di una chitarra calda ed emozionale come non mai, sorretta da delicati arrangiamenti in stile night anni ’40 perfettamente calati sull’atmosfera dei brani.
In coda troviamo “That Kind Of Woman”, nuovo duetto di grande fascino con l’ex Beatle George Harrison chiamato in causa alla chitarra elettrica e ai cori in una gradevolissima canzone scritta per l’ex Thin Lizzy. Spazio infine per “All Your Love” e “Stop Messin’ Around” due brani, manco a dirlo, dal forte sapore blues/rock ‘n’ roll vecchio stile, ravvivati al solito da quel guitar work vivace e personale con cui Gary Moore, lungo tutta la durata dell’album, si è permesso di reinterpretare i grandi maestri del blues – non ultimo Peter Green – con classe, eleganza e la giusta devozione, regalando ai propri fan una manciata di pezzi da tramandare ai posteri.
La versione rimasterizzata contiene ben cinque bonus tracks tra cui la strumentale “The Stumble”, la melanconica “Left Me With The Blues”, le più scanzonate “Further Up On The Road” e “Mean Cruel Woman” e infine la classicissima “The Sky Is Crying”, di nuovo grande blues fortemente improntato sull’elettrica del grande axe man, pienamente in linea con lo spirito di un album ormai divenuto un cult che lanciò definitivamente (anche in termini d vendite) l’artista irlandese nell’empireo dei suoi idoli del passato.
Stefano Burini
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Tracklist:
01 – Moving On
02 – Oh Pretty Woman
03 – Walking By Myself
04 – Still Got The Blues
05 – Texas Strut
06 – Too Tired
07 – King Of The Blues
08 – As The Years Go Passing By
09 – Midnight Blues
10 – That Kind Of Woman
11 – All Your Love
12 – Stop Messin’ Around
Bonus tracks:
13 – The Stumble
14 – Left Me With The Blues
15 – Further Up On The Road
16 – Mean Cruel Woman
17 – The Sky Is Crying