Recensione: Still Life
“Still Life”, quarto capitolo nella storia degli Opeth, quarta conferma della loro infinita creatività. Ricordo piuttosto chiaramente le mie primissime impressioni derivate dal suo ascolto, la mia incuriosita perplessità: nonostante sia immediatamente evidente la sua enorme complessità e bellezza, è comunque a mio parere l’album con cui gli Opeth hanno preso una via più sperimentale. Effettivamente durante un’intervista hanno dichiarato che questo “Still Life” è stato una sorta di esperimento ma, ragazzi, se questo è un solo un esperimento allora c’è da preoccuparsi sul serio…
Il song-writing è senza ombra di dubbio nella migliore tradizione degli Opeth: canzoni lunghe e dalle strutture complesse, intrecci chitarristici e alternanza tra clean-vocals e growl sono gli ingredienti che in maniera forse troppo riduttiva possono ben riassumere il tutto. Ma se ci fermassimo a questo sminuiremmo eccessivamente la bellezza delle loro produzioni. Non credo che sia un caso infatti che al mondo gli Opeth siano gli unici sovrani incontrastati nel loro genere: nessuno è riuscito a imitarli, e probabilmente nessuno ce la farà.
In “Still Life” potrete sentire degli incroci di chitarre acustiche da far accapponare la pelle anche al più insensibile degli ascoltatori: ricercatezza e raffinatezza sono i due aggettivi che caratterizzano gran parte dell’album, nonchè una spiccata propensione per melodie elaborate e mai banali. Basti ascoltare la prima traccia, “The Moor”, per avere l’esatta idea di ciò che volevo dire. Pur essendo ancorato fortemente al Death metal, si capisce come allo stesso tempo il gruppo svedese voglia prendere le distanze dai luoghi comuni di questo genere, di come voglia emergere con una propria personalità e con idee originali.
Come in tutti i loro lavori, è la spontaneità a far da vera padrona. L’album scorre dal primo minuto all’ultimo senza alcun intoppo, senza indecisioni o parti forzate. Veramente interessanti gli arrangiamenti che credo che qui come non mai diventino importanti e completino l’album: piccoli tocchi di classe, che dopo un paio di ascolti rimangono indelebilmente impressi nella mente dell’ascoltatore, e che vi ritroverete a canticchiare tra di voi più di quanto pensiate… E’ incredibile come abbiano saputo coniugare bene complessità ed allo stesso tempo immediatezza.
Mi ha stupito per la sua particolare bellezza “Benighted”, terza traccia del Cd, la quale è costruita interamente su un solido intreccio di chitarre acustiche: niente growl, ma un cantato tanto semplice quanto toccante. Una canzone che veramente ha la capacità di rilassarvi nonchè di farvi capire in cosa sta la differenza fondamentale tra gli Opeth e la maggior parte dei gruppi metal: la melodia non è uno strumento di facile approccio all’ascoltatore, quanto piuttosto uno strumento per rendere la propria musica unica, particolare e completa!
Pezzo decisamente fuori dai comuni standard è “Face of Melinda”: questa è storia, signori! Siamo davanti ad un gruppo metal che ha dimostrato pienamente come violenza, velocità e grezzume siano talvolta secondari. Ascoltate quanta delicatezza si cela dietro a queste note, lasciatevi accarezzare da questa canzone, perchè è questo quello che vi succederà se saprete abbandonarvi senza pregiudizi all’ascolto! Con “Serenity Painted Death” si ritorna invece agli standard, o almeno, qui ho ritrovato la maggior parte degli elementi presenti anche negli altri album (compreso l’immancabile “UH!” del cantante… eheh…).
Alcune parti di questo album sembrano quasi voler richiamare sonorità simil-fusion, o comunque qualcosa di molto simile; una piccola sfumatura, insomma, che mi pare abbia influenzato il suono di questa produzione. Devo ammettere che per un certo periodo ho considerato “Still Life” come il peggior album degli Opeth, ma è stato più per “cafoneria” del sottoscritto che per la reale proposta: dopo alcuni ascolti più attenti e ricercati ho realmente riscoperto la freschezza e l’immensa bellezza di questo Cd, convincendomi che se un domani dovesse uscire un ibrido tra “Still Life” e “Morningrise”, gli Opeth potrebbero senza dubbi affermare di aver prodotto un capolavoro ineguagliabile, una perla di perfezione.
Matteo Bovio
Tracklist
01. The Moor
02. Godhead’s Lament
03. Benighted
04. Moonlapse Vertigo
05. Face of Melinda
06. Serenity Painted Death
07. White Cluster