Recensione: Stones Grow Her Name
Ho ascoltato questo nuovo lavoro dei Sonata Arctica intitolato “Stones Grows Her Name” con molta attenzione e solo dopo svariati ascolti sono riuscito ad apprezzarne in pieno tutte le sue componenti.
Questo significa che abbiamo tra le mani un disco molto eterogeneo, dalle qualità indiscusse e dalle potenzialità notevoli, che però non stravolgerà gli equilibri artistici finora raggiunti, ma aiuterà la band a consolidare quel processo di crescita e di maturazione che da anni sta cercando di portare avanti con molta determinazione e alterne fortune.
Sono ormai lontani i tempi di “Silence” e di “Winterheart’s Guild”, due album capolavori di un filone, quello Power Metal melodico, che dopo sedici anni di onorata carriera suona in maniera totalmente differente nelle menti, nelle mani e nei cuori dei Sonata Artica. I loro pentagrammi e le loro armonie si sono arricchiti di nuove sfumature e di nuovi stratagemmi tecnici che non a tutti possono piacere, ma dal punto di vista artistico destano molto interesse, alimentando il motore pulsante di curiosità ed ammirazione.
Sono undici i pezzi che compongo questo “Stones Grows Her Name” tutti, dal punto di vista qualitativo, notevoli anche se c’è qualche episodio meno ispirato degli altri, mentre altri hanno bisogno di qualche ascolto in più per essere assimilati al meglio.
Si tratta comunque di un album degli attuali Sonata Arctica, una band ormai abituata a cambiare “pelle” album dopo album, anche in maniera repentina.
In questo nuovo lavoro si è puntato su un songwriting più variegato, con stili diversi che ben si integrano tra di loro lasciando al power degli esordi solo il ruolo di comparsa.
Meno cervellotico rispetto a “Unia” e meno oscuro rispetto “The days of Grays”, questo album è pieno di sensazioni positive, motivetti di facile presa, ma anche di episodi più introspettivi e profondi e altri più veloci ed energici.
Per capire bene quali siano le nuove soluzioni utilizzate per questo nuovo disco dai Sonata Artica, dobbiamo entrare nello specifico dei pezzi in modo da toccare con mano tutto quello che abbiamo detto fino ad ora.
Il disco inizia con “Only the Broken Hearts (Make You Beautiful)”, un pezzo che sorprende per le sue dinamiche semplici e le linee melodiche di facile presa molto orecchiabili. Un brano per nulla innovativo che farà la gioia dei nostalgici e farà arricciare il naso a chi voleva qualcosa di nuovo. Siamo alle solite, ma è solo l’inizio.
Un manna per gli appassionati più oltranzisti invece è rappresentata dalla seconda canzone “Shitload of Money”. Superlativa per la sua freschezza ed energia, dove il songwriting dei nostri da sempre potente ed elegante è arricchito da innesti hard rock. Una soluzione nuova e interessante che non sarebbe male risentire in occasioni future. Superba anche la prestazione del singer Tony Kakko, una sicurezza anche su territori diversi, subito congeniali alle sue caratteristiche vocali. Un pezzo che a mio avviso potrà fare la fortuna della band, soprattutto in sede live, per la carica di adrenalina in suo possesso.
Un pianoforte sinistro e malinconico apre la terza traccia, intitolata “Losing My Insanity”, che ci catapulta prepotentemente negli anni d’oro che furono, quando la band finlandese faceva impazzire i fan con quel suo power metal potente ed elegante, fatto di riff portentosi e arrangiamenti di tastiera sontuosi. Si tratta comunque di un tempo medio, dall’impatto emotivo e uditivo notevole che però di sicuro non verrà ricordato nel corso degli anni. Ciò nonostante, nell’immediato, fa la sua parte, incastonandosi alla perfezione nel contesto artistico fino ad ora espletato.
Il primo quarto d’ora dell’album è volato via senza troppi intoppi – anche se non è mancato qualche sbadiglio – e il meglio della produzione di questo disco,come vedremo, risiede nella parte finale.
Il tempo di ascoltare con qualche affanno “Somewhere Close to You “ e ci spostiamo con famelico interesse verso il primo singolo estratto dall’album ovvero “I Have A Right”.
Una cantilena insidiosa e snervante prende possesso dei miei padiglioni auricolari, mandando il mio sistema nervoso e quello dell’ignaro ascoltatore in frantumi. Una song brutta e ripetitiva che però non riuscirà uscire dalla vostra testa: la canterete in ogni dove e anche se ne vorreste fare a meno, vi farà compagnia nelle vostre giornate. A parte gli scherzi, una scelta pericolosa ma efficace quella dei Sonata Arctica di affidarsi a un pezzo del genere come antipasto del nuovo album. In effetti i singoli hanno proprio questa funzione, cioè quella di calamitare l’attenzione dei fan e degli addetti ai lavori… Ci sono riusciti in pieno.
Si ritorna a fare sul serio con “Alone in Heaven”: anche qui, senza inventare nulla, la band sforna un pezzo interessante, dall’animo gentile che, grazie all’accuratezza di ogni singolo fattore, riuscirà con il suo retrogusto hard-rock a scuotere l’ascoltare.
A metà dei giochi potremmo essere parzialmente soddisfatti, anche perché conoscendo le innate qualità dei finnici, ci si aspettava qualcosa di più.
Puntuali come un orologio svizzero – smentendomi inesorabilmente – i nostri sfornano un finale da paura: cinque pezzi, uno più bello dell’altro.
Si parte con “The day”, un brano ipnotico dalla metrica intrigante, frutto di un lavoro portentoso sulle atmosfere e sugli arrangiamenti. Le chitarre in questo caso sono affilate alla perfezione e finiscono la propria corsa in un morbido ed elegante tappeto di tastiere. Veramente un gran pezzo.
La pietra miliare di questo album è però rappresentata dall’ottava traccia, “Cinderblox”. Un pezzo assurdo, dove power e country duellano allegramente lungo le note elargite dal banjo suonato per l’occasione dall’ospite Peter Engberg. Un brano atipico, ma incredibilmente bello che saprà raccogliere un gran numero di consensi.
Per non farci mancare nulla, come in ogni album dei Sonata Arctica, Tony Kakko e soci non potevano che includere anche una deliziosa ballad. “Don’t Be Mean” inizia lentamente e sin da subito possiede tutte le qualità per poter stupire, grazie a quel senso d’intimità che si respira. La dolcezza che s’impossessa delle corde vocali di Tony invade ogni frammento di questa track, esaltandone l’emotività a livelli spaventosi e rendendola sublime.
Per chiudere questo “Stones Grows Her Name”, i nostri si affidano all’accoppiata “Wildfire II” e Wildfire III. Un doppietta che termina la triologia incominciata nel lontano 2004 con l’album “Reckoning Night”.
Dopo averla apprezzata in “Cinderblox “, la componente country ritorna alla ribalta nel primo dei due “Wildfire” per un breve intro molto particolare e delicato. Uno spiazzante inizio che viene spazzato via dalla potenza della sessione ritmica, riprendendo con vigore e una brillantezza inaspettata quelle sonorità antiche che sembravano abbandonate. Reminiscenze del passato che si fondono a meraviglia con gli innesti attuali, anche nel secondo Wildfire.Una pezzo complesso, ma avvincente grazie ai suoi continui cambi di ritmo e di umore.
Una doppietta che oltre a lasciare il segno per la sue qualità, ,vuole essere un vero e proprio riassunto di tutto quello che abbiamo ascoltato in questo album e pertanto perfetta nel ruolo di chiusura.
In conclusione, dopo questo lungo track-by-track estenuante ma necessario, possiamo senza dubbio dire che i Sonata Arctica hanno svolto, anche in questo nuovo capitolo della loro carriera discografica, un ottimo lavoro. Un disco difficile, per nulla banale, dove non tutte le tracce sono riuscite ad esaltarmi, ma il lavoro fatto sul songwriting è notevole e non ammette reclami.
Sarà interessante conoscere quali saranno gli scenari futuri, ma non avendo la sfera di cristallo ci accontenteremo di gustarci il presente ed ascoltare questo disco, perché merita veramente.
Ottavio “octicus” Pariante
Tracklist:
01. Only The Broken Hearts (Make You Beautiful)
02. Shitload Of Money
03. Losing My Insanity
04. Somewhere Close To You
05. I Have A Right
06. Alone In Heaven
07. The Day
08. Cinderblox
09. Don’t Be Mean
10. Wildfire, Part II – One With The Mountain
11. Wildfire, Part III – Wildfire Town, Population: 0
Line up:
Tony Kakko: Vocals, Keyboard
Tommy Portimo: Drums
Marko Paasikoski: Bass
Elias Viljanen: Guitar
Henrik Klingenberg: keyboard