Recensione: Stormwarning
I Ten tornano sugli scudi dopo cinque anni tutt’altro che tranquilli. Dall’ultimo studio album, “The Twilight Chronicles“, la band ha attraversato un periodo agitato da problemi interni ed esterni: i numerosi cambi di line-up e le questioni private hanno reso difficile la vita a Gary Hughes e compagni, tenuti lontano dagli studi di registrazione e dai palchi troppo a lungo per un nome così rappresentativo.
Fortunatamente per i fan l’abnegazione di Hughes ha avuto ragione sulle difficoltà e il risultato di tanta applicazione è un album a cui il cantante e compositore inglese si sente oltremodo legato. Il feeling è palpabile, “Stormwarning” è un disco finalmente ispirato che raggiunge i vertici compositivi della discografia dei Ten, “The Name Of The Rose” e “Spellbound“, superando di gran lunga i pur buoni “Return To Evermore” e “The Twilight Chronicles“.
Accanto agli “scudieri” di sempre, John Helliwell (chitarre) e Paul Hodson (tastiere), Gary ha scelto gli altri musicisti con il carisma e l’intransigenza di chi sa esattamente come dovrà suonare il proprio disco. Oltre Neil Fraser (Asphalt Ribbons e Tindersticks) alla chitarra solista e il perfetto sconosciuto Mark Sumner al basso, la line-up si completa con un guest d’eccezione, Mark Zonder (Fates Warning) alla batteria e alle percussioni.
Il mix e il mastering finale è affidato all’esperto Dennis Ward (Pink Cream 69, Khymera, House of Lords, Angra, Place Vendome, Sunstorm, Edenbridge, ecc.). Per l’artwork sono assicurati i servigi del grande illustratore spagnolo Luis Royo, che già aveva collaborato con i Ten per le copertine di “Spellbound” e “Babylon”.
Il nono studio album rompe subito gli indugi con una dichiarazione d’intenti eloquente: la opener “Endless Symphony” è ficcante, grazie al tormentone offerto dal refrain orientaleggiante (qui è maestro Hodson nel sottolineare con il suo piano la stessa melodia vocale proponendola fin dall’inizio del brano) e la ritmica tribale, che ricorda un po’ i fasti di “Arcadia” (da “The Robe“), anche se il riffing risulta un po’ ripetitivo e il testo infarcito di parole italiane come indicazioni angogiche e forme musicali non aiuta a sciogliere le briglie ad un brano comunque riuscito dal punto di vista melodico.
L’uno-due seguente rappresenta il non plus ultra del platter, un vero e proprio knock-out per l’ascoltatore. “Centre Of My Universe” è già un classico dei Ten, fedele alla vecchia scuola, mentre “Kingdome Come” si candida a miglior brano in assoluto, dotato di un chorus travolgente ed epico, in evidente reminiscenza “Spellbound“.
Arriva quindi un trittico piuttosto hard rock oriented, decisamente classic british, con “Book Of Secrets“, ritmicamente molto “quadrata”, la titletrack che mescola sapientemente epicità e brio, e “Invisible“, mid tempo ruffiana impreziosita da un lavoro eccezionale da parte di Fraser che riesce nel difficile compito di non far rimpiangere un certo Vinny Burns.
I tempi si allungano a partire da “Love Song“, il titolo è tutto un programma, ma la ballatona con tanto di break centrale prima del trascinante ritornello conclusivo non poteva mancare… “The Hourglass And The Landslide” è un mezzo passo falso, dal momento che le pretese AOR ripiegano su melodie al limite dell’alternative, e la stessa linea vocale è stucchevolmente ripetitiva.
“Destiny” è un brano coraggioso, nel senso che promette epicità facendo in un certo senso il verso alla leggendaria “Fly Like An Eagle“: è un ottimo pezzo, ma l’eco del brano di “The Robe” si fa troppo insistente, e com’era prevedibile la song esce sconfitta dal confronto.
Chiude “The Wave“, un’altra ballad, quasi una ninna-nanna. Posizionare un pezzo del genere in coda alla tracklist non ci sembra la scelta migliore.
Al di là di qualche opinabile considerazione sulle composizioni, a dividere la critica sarà probabilmente, ancora una volta, la timbrica e lo stile vocale molto poco versatile di Hughes, maggiori indiziati per la monotonia dei Ten, ma allo stesso tempo assolvibili per la capacità comunicativa e la caratterizzazione della loro musica. Oggettivamente, le basse tonalità usate da Hughes in un genere come l’hard rock e l’AOR richiedono uno lavoro enorme in fase di missaggio, i risultati raramente sono buoni e “Stormwarning” non fa eccezione, non ce ne vorrà il buon Dennis Ward.
Tuttavia restiamo romanticamente schierati con coloro che adorano i Ten esattamente in questa caratterizzazione, perché sono la creatura di Gary Hughes e non riusciremmo a pensarli diversamente. In quest’ottica “Stormwarning” è un album bellissimo.
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Tracklist:
- Endless Symphony
- Centre Of My Universe
- Kingdom Come
- Book Of Secrets
- Stormwarning
- Invisible
- Love Song
- The Hourglass And The Landslide
- Destiny
- The Wave