Recensione: Strange Highways
Ogni volta che comincio col recensire un album che, in qualche modo, riguarda più o meno direttamente Ronnie James Dio ( vedi carriera solista e Black Sabbath ), faccio mente vocale e mi rendo conto che effettivamente io sia l’ ultima persona alla quale si potrebbe chiedere un giudizio coerente su questo magnifico artista, e mi prometto che quella sarà l’ultima volta che mi occuperò di lui. Ma anche questa volta, come ogni altra, mi ritrovo invischiato nel raccontare qualcosa del piccolo vocalist di Portsmouth, qualcosa che spero, possa risultare coerente ed esauriente allo stesso tempo, sebbene questo sia un compito infame per uno come me, che vede in lui il migliore ed il più completo artista che abbia mai calcato le scene internazionali dell’ hard ‘n’ heavy.
Ed è dunque come settima release ufficiale dell’ esperienza solista del lillipuziano singer, che andiamo a collocare “Strange Highways”, album che nasce in seno ad una serie di aneddoti e di eventi che andremo ovviamente ad elencare ed a chiarire, per poter cosi ottenere un quadro completo e veritiero soprattutto del contesto storico, che come tengo spesso a precisare, influisce moltissimo non solo sul giudizio finale, che alla fine si riduce alla mera soggettività del momento, ma soprattutto sulla resa complessiva negli anni, che l’opera può fornire all’ utente, particolare questo da non prendere sottogamba.
Ronnie James Dio – Vocals
Vinnie Appice – Drums
Tracy Grijalva – Guitars
Jeff Pilson – Bass Guitars & Keyboards
Apriamo le danze con un pò di dati cronologici. Ben 4 anni sono ormai passati dalla pubblicazione dell’ ottimo “Lock Up The Wolves” e diverse cose sono cambiate. Iniziamo con la line up della band, che fa registrare uno stravolgimento radicale rispetto al precedente lavoro, infatti al posto del granitico Simon Wright ( ex AC/DC ), troviamo un grande ritorno, quello dell’ eterno e fedele partner di Ronnie, ovvero Vinnie Appice, che lo seguirà nella dipartita ( la seconda ) dai Black Sabbath, e che sposerà ancora una volta le sue manie solistiche in questo “Lock Up The Wolves”. In luogo dell’ accoppiata Johansson/Cook fa la sua comparsa Jeff Pilson. In ultimo, ma non meno importante, troviamo forse il cambiamento che maggiormente ha influito sul sound di “Strange Highways”, ovvero la sostituzione del giovanissimo Rowan Robertson ( ricordiamo che all’ epoca della sua collaborazione coi Dio aveva appena 18 anni ) con nientepopodimenochè Tracy Grijalva ( Tracy G., per i più disattenti ). E’ forse stata questa la mossa che ha smosso il più alto polverone nell’ ambiente del periodo, specie fra i fan più accaniti, che temevano fortemente un sferzata prepotente verso un sound che tendesse all’ industrial. Cosa che in parte comunque la band farà, ma non così palesemente come la critica aveva malignamente presagito, sfruttando, in ogni modo, in maniera più che saggia la grande esperienza maturata da Tracy nel corso degli anni della sua carriera, qualità che in cui in ogni caso difettava, e non avrebbe potuto essere altrimenti, Rowan Robertson, che non sarebbe potuto essere la scelta giusta per il prepotente rilancio di cui il singer aveva bisogno dopo i violenti attriti con Iommi e Butler, di cui tutti siamo al corrente.
“Strange Highways” presenta la band di Ronnie James Dio in una veste del tutto nuova, si abbandonano quasi completamente i temi con riferimenti epici e/o fantasy, per fare posto ad un sound violentissimo, che lascia indubbiamente a bocca aperta, se si pensa che questo è un lavoro composto dal piccolo singer statunitense. Riffs pesantissimi, ritmiche grezze e rocciose, un heavy metal sicuramente non velocissimo, ma molto molto impegnativo e complesso, è quello presentato nel platter di “Strange Highways”.
Tutto ciò salta all’ occhio fin da subito, con la opener track del disco oltre che miglior song dell’ intero lavoro, “Jesus, Mary And The Holy Ghost”, ma viene portato all’ esasperazione con pezzi quali “Strange Highways” e soprattutto “Hollywood Black”, in cui le melodie perdono completamente di significato ed entra prepotentemente in gioco la graffiante batteria di Vinnie Appice che conferisce cattiveria ed imprime la giusta direzione a questo incredibile pezzo. Dicevamo della opener: è questo il lavoro più interessante presentato nell’ album: fors’ anche perché è quello che è in ogni caso più caro al repertorio classico di Dio, ovvero un pezzo in cui in ogni caso abbiamo un refrain molto ben strutturato ed un riff portante assolutamente geniale, che imprime un ritmo veramente coinvolgente al pezzo, che resta quindi orecchiabile e gradevole fin dal primo ascolto.
Nella song numero 5 della track list, “Evilution”, si vede piuttosto in maniera evidente che l’ingresso di Tracy G. ha sortito inevitabilmente qualche effetto, nel bene e nel male. Questo pezzo è infatti una concentrazione quasi esasperata di suoni che in ogni momento sembra sia sull’ orlo del collasso, il che ovviamente non può essere da me definito come una nota positiva, anzi.
Non che Tracy se la sia cavata male, questo no, ma ritengo questo pezzo un azzardo poco riuscito da parte di Ronnie James: non riesco in alcun caso a capire in che modo possa questo pezzo essere stato inserito in tracklist.
Con la seguente, “Pain”, Ronnie James Dio si fa in ogni caso parzialmente perdonare, mettendo in mostra le sue doti tecniche in un impegnativissimo mid tempo che conserva però i tratti che descrivono la falsariga di tutto il platter, ancora una volta infatti, i riffs di fondo sono molto pesanti e vengono arricchiti da dei violentissimi colpi di cassa da parte di Appice, che non lesina in effetti con l’ enfasi nelle sue battute.
Fino a “Bring Down The Rain” purtroppo è un costante calando, in cui la fanno da padrone dei pezzi che di certo non saranno ricordati nella discografia dei Dio come fra i più originali, non dico che invoglino allo sbadiglio, ma quasi. L’ultima traccia del disco, “Bring Down The Rain” appunto, è introdotta da un gradevolissimo riff di chitarra di Tracy G. che introduce all’ ingresso in scena della voce di Ronnie James, che ci guida come solo lui sa fare, con cattiveria, ma anche con dolcezza dove serve. Un pezzo veramente molto strano questo, intrigante certo, ma anche e soprattutto geniale, come il personaggio da cui è stato partorito, del resto.
“Strange Highways” è un disco nel complesso certamente più che discreto, con i suoi alti ed i suoi bassi ( molti a dire il vero ), un disco che comunque conferma come nella carriera di Ronnie James Dio non esista in ogni caso la parola “fallimento” e come ogni opera che egli componga, sebbene questa non brilli per originalità ed ispirazione, sia parte di un piccolo mosaico che ogni volta si arricchisce grazie allo sregolato estro di questo monolitico artista.
Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini
TRACKLIST
1. Jesus, Mary And The Holy Ghost
2. Firehead
3. Strange Highways
4. Hollywood Black
5. Evilution
6. Pain
7. One Foot In The Grave
8. Give Her The Gun
9. Blood From A Stone
10. Here’s To You
11. Bring Down The Rain