Recensione: Strange Party 6026
Secondo studio album per il duo milanese nato dal sodalizio artistico tra Sergio Pescara e Gianni Cicogna, “coppia ritmica” che vanta collaborazioni a non finire, soprattutto, ma non solo, in Italia. Dopo il self-titled del 2009, «un progetto particolare, creato unicamente con basso, batteria, uniti all’elettronica», nel gennaio del 2015 viene pubblicato Strange Party 6026: già dal titolo s’intuisce la pazzia musicale contenuta nei dieci brani in scaletta, tutti con titoli curiosamente concisi.
Prodotto da Patrick Caccia (Steve Vai, John Spicer, Mark Faner) e Tom Fletcher (Ozzy Osbourne, Toto, Yes, Steve Lukather) e registrato al Cave Studio di Los Angeles, l’album è un gioiello di progressive metal strumentale, che regge il confronto con i grandi Liquid Tension Experiment e i meno conosciuti Attention Deficit, giusto per citare due nomi.
Tra gli ospiti figurano nomi importanti come Billy Sheehan, Derek Sherinian e Kiko Loureiro (da poco in forze anche ai Megadeth). Altri guest sono Michele Cusato, Daniele Perini, Fabio Casali, Steve Weingart e il già citato Parick Caccia.
Ottimo biglietto da visita, veniamo ora alla musica.
L’opener, “Black Mail”, è un ricatto a tutti gli effetti, come resistere? Tutto inizia su ritmi cadenzati e un main theme vellicante. La presenza di Derek Sherinian crea atmosfere che richiamano alla mente i paesaggi onirici e lisergici dei Planet X. Loureiro alla chitarra è mirabile, ma chi stupisce di più è Gianni Cicogna al basso, che regala fuochi d’artificio a metà brano: sembra di ascoltare Billy Sheehan!
“Recall” è un divertissement zeppo di sequencer e squilli di telefono, un po’ come la stampante dei Freak Guitar in “Print This”. Il basso in slap e le atmosfere quasi fusion richimano alla mente, invece, i migliori Attention Deficit. Loureiro sfodera un altro assolo da manuale, in definitiva quattro minuti di puro delirio sperimentale.
Brano vicino alle sonorità degli LMR, “Loft 26” presenta tempi sincopati e il solito groove del duo italiano. Il pezzo vive anche di accelerazioni metal e la performance di Cusato alla chitarra è discreta. Una sirena a metà brano lascia spazio a un assolo di batteria. Nonostante i vari accorgimenti in post-produzione, il brano nel finale pecca di prolissità e si salva grazie al basswork di Cicogna.
La title track, inutile dirlo, è una composizione sui generis. La coppia magica Loureiro-Weingart è da brividi, in più Billy Sheehan dà spettacolo. C’è spazio, oltre ai soliti unisoni tecnici, per un break cacofonico. Atmosfere ricercate e latamente etniche in “Maimoni“, con Tom Fletcher al microfono e un basso sognante. Brano originale, ma un po’ ripetitivo.
“Strap” riporta i ritmi su coordinate progressive. Accenti sui tempi deboli e tinte jazz. Weingart all’hammond è a suo agio, Cicogna non lesina i virtuosismi di basso.
Tempi dispari in apertura di “Inevitable” e si respira di nuovo aria del Pianeta X. Fabio Casali intesse un assolo notevole, a metà tra Steve Vai e il collega Loureiro. Tra spunti vagamente barocchi e rullate all’unisono, il brano termina lasciando una buona impressione nei ricordi dell’ascoltatore di turno.
Basso nei momenti iniziali di “Spell”, traccia à la Allan Holdsworth. Non manca la giusta dose di tecnica e alcune schiarite conferiscono un tocco di ariosità al brano.
“Gravity” è tra i migliori pezzi in tracklist, con un main theme dal groove assicurato. Resterà di sicuro in mente al primo ascolto, per il suo carattere ficcante da potenziale hit del disco. Gran finale con “Insanity”, brano più lungo in scaletta. Basso in slap, incedere sincopato/funky e tastiere prog. rock a cura di Weingart. Sul finire del quarto minuto il basso ruba la scena e regala ancora emozioni.
Quasi cinquanta minuti di musica suonata con la testa e con il cuore. L’equilibrio tra creatività e tecnica è la vera forza dei Groovydo, che suonano con passione e tenacia. Il ricco cast di ospiti non inficia la personalità del platter, che risulta ben strutturato e coeso. Buona la produzione, curati gli arrangiamenti.
La band è chiamata a confermare il proprio talento in futuro: il duo italiano saprà mantenersi su questi livelli d’eccellenza? Speriamo proprio di sì, dischi come questo risollevano le sorti del panorama musicale progressive e il morale dell’ascoltatore intelligente.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)