Recensione: Strange Rites Of Evil
L’uscita dell’ottimo Blasphema Secta è un’occasione piuttosto ghiotta per poter recuperare il precedente Strange Rites Of Evil, e di certo non ce la lasciamo sfuggire. Questo bel dischetto, ad opera di una delle migliori band estreme che il nostro paese abbia mai partorito, uscì il 2 novembre del 2015 e mai giorno fu più adatto. Nel caso non conosciate gli Abysmal Grief c’è sempre tempo per rimediare: il loro doom horrorifico è una proposta personale e di qualità assoluta, con l’ovvia pecca dell’italianità, che destina l’arte all’anonimato ormai per partito preso, direttamente e senza passare dal via.
Quel che rimane è quindi pane per gli affamati perennemente in cerca di buona musica, che qui avranno di che saziarsi e sollazzarsi a volontà. La processione è iniziata da Nomen Omen e, fin dalle prime note suonate, si può intravedere come i genovesi siano grandi maestri nel musicare le atmosfere più plumbee e sulfuree. Gli Abysmal Grief suonano una musica lenta e salmodiante, con l’organo sempre in primo piano e una voce diabolica e pregna di zolfo; il risultato è come sempre magistrale e anche questo quarto album si assesta su livelli medio – alti senza alcun problema. La titletrack rallenta le ostilità diventando più arcigna e rituale; le presenze demoniache aumentano e l’incantesimo viene ultimato. C’è anche tempo per un assolo di chitarra, che ben inquadra il pezzo e dà un buon valore aggiunto spezzando il ritmo. Cemetery ha un gran bell’inizio di tastiera e i vari stacchi che l’accompagnano creano il fertile terreno per il riff principale che risulta piuttosto semplice ma efficace. La strofa malsana e gli incisi ariosi creano un buon contrasto, che viene poi rafforzato dalla chitarra e da un assolo stridente e dissonante che di certo susciterà all’ascoltatore sentimenti contrastanti.
Child Of Darkness è una cover dei Bedemon, della quale lasciamo a voi il giudizio, mentre Radix Malorum accelera di poco il mood del disco e va ad incastonare l’ennesima funerea gemma con un ritornello che entra in circolo praticamente subito ed è efficacissimo. Il tema portante offre un gran bel loop organistico e la sezione ritmica segue fedelmente contribuendo in maniera fondamentale all’atmosfera orgiastica e decadente che si sta ricreando. Il gran finale è affidato al brano più lungo dell’album, Dressed In Black Cloaks che, col suo (voluto?) minutaggio di tredici minuti e tredici secondi pone il giusto sigillo a un’opera che può essere considerata tutt’ora fresca, personale e senza particolari cali d’intensità. La lunga introduzione è molto molto bella e sembra quasi un carillon che suona alle spalle di una damigella che sta per essere brutalmente assassinata in un lugubre castello. Il brano poi si arzigogola come un serpente e risulta imprevedibile e malvagio, e il turibolo del prete in testa alla processione vomita teschi di fumo risucchiando l’ascoltatore e trasformandolo in un nuovo adepto. C’è anche tempo per un’accelerazione finale che arriva inaspettata e conduce, sfumando, al cimitero dove eravamo diretti.
Questo fanno gli Abysmal Grief e questo vogliamo che facciano, nulla di più e nulla di meno. Strange Rites Of Evil è quindi un disco che vi consigliamo caldamente di recuperare assieme agli altri tre album della band, non ve ne pentirete affatto come non vi pentirete di annoverare tra le vostre conoscenze questi illustri traghettatori dell’occulto.