Recensione: Stranger In Us All
Nel 1995 Ritchie Blackmore, dopo l’ennesima dipartita dai Deep Purple, decide di rispolverare un nome carico di storia ed onore: Ritchie Blackmore’s Rainbow.
Il gruppo è poi completato da John O. Reilly (batteria), Greg Smith (basso), Paul Morris (tastiere) e dal bravo Doogie White, cantante dotato di un’ottima voce, calda e potente.
Esce così Stranger In Us All, un album che lascia quasi completamente da parte le divagazioni AOR e la ricerca commerciale degli ultimi album dei Rainbow per riprendere il grande Hard Rock dei primissimi album. Ripresa che riesce solo in parte, perché nonostante questo sia un gran album, con grandi pezzi, Rising resta su di un altro livello, probabilmente non più raggiungibile.
Ma entriamo nei dettagli…
L’opener è Wolf to the Moon, un grande pezzo dotato di una splendida melodia. Da notare l’uso della slide-guitar, presente in quasi tutto il pezzo, e l’assolo neoclassico, un trademark di Ritchie.
Si prosegue con Cold Hearted Woman, altro bel pezzo dalle tinte più moderne.
La terza traccia è Hunting Humans (Insatiable), pezzo molto cadenzato, vagamente psichedelico, e (per me) non molto riuscito; probabilmente il punto più basso dell’album.
Ci pensa la canzone seguente a riportare l’album sulla giusta carreggiata. Stand and Fight è un gran bel Hard-Blues, di quelli che non sentivamo da tanto tempo, impreziosito dall’armonica di Mitch Weiss, guest del brano.
Arriviamo così al primo capolavoro del CD: Ariel. Un grande e potente riff orientaleggiante domina questa canzone cupa e misteriosa. Il ritornello, splendido, interrompe l’andamento oscuro del brano, ma è solo un attimo, una breve tregua. Il solo, eseguito in slide, è veramente bello ed inquietante. L’atmosfera cresce, la voce sale, prende potenza per gli ultimi urli pieni di grinta e malinconia, e lascia il posto al bellissimo finale impreziosito dalla dolcissima voce di Candice Night (futura compagna di Ritchie tanto nella musica quanto nella vita) e dal tocco del Maestro.
La sesta traccia, Too Late for the Tears, ci riporta un po’ ai Rainbow anni 80: ritmi veloci, power chords e ottime melodie facilmente assimilabili.
Ed ecco un altro punto alto del disco: Black Masquerade. Un’altra canzone incredibile. Un’altra ottima prova di Doogie, in grado di dare alla canzone quel “in più” grazie al phatos che riesce a creare. A spezzare il tiro della canzone ci pensa il veloce intermezzo acustico vagamente spagnoleggiante che lascia poi il posto al velocissimo Harpsicord di Morris.
Per Silence può essere fatto lo stesso discorso di Cold Hearted Woman: riff moderni, qui supportati dagli ottoni, su cui si staglia una melodia non banale.
Ed ecco che giungiamo felicemente al terzo capolavoro: Hall of the Mountain King che, com’è facile comprendere, riprende il famoso tema classico (a suo tempo ripreso anche dai grandi Savatage). Un’oscura melodia ti prende e ti trasporta lontano, in altri tempi grazie anche agli ottimi arrangiamenti orchestrali, mai invadenti, ma usati sapientemente. Nel finale il tema si fa sempre più veloce e pressante fino a raggiungere gli accordi conclusivi.
L’ultimo pezzo è il classico Still I’m Sad, presente anche nel primissimo album e cavallo di battaglia dei loro show negli anni 70, che qui gode di una seconda giovinezza grazie ai nuovi arrangiamenti veramente buoni anche se le versioni live con Ronnie James Dio rimangono ineguagliate.
In definitiva un ottimo album d’ottimo Hard Rock in un periodo dove il genere sentiva il bisogno di un ottimo album
Questo è apparentemente l’ultimo album dei Rainbow, ma Ritchie e Ronnie si mantengono in contatto e nessuno dei due non ha mai negato la possibilità di una reunion, anzi…
Staremo a vedere, ma tremo all’idea di quei due ancora insieme…
Tracklist:
1. Wolf to the Moon
2. Cold Hearted Woman
3. Hunting Humans
4. Stand and Fight
5. Ariel
6. Too Late for Tears
7. Black Masquerade
8. Silence
9. Hall of the Mountain King
10. Still I’m Sad
11. Emotional Crime