Recensione: Stranger Shores
E così, anche i meranesi Dead Like Juliet riescono a trovare le risorse per dare alle stampe il loro debut-album, “Stranger Shores”, rigorosamente autoprodotto.
Essi definiscono la propria musica new wave of heavy music, definizione sostitutiva del concetto di melodic metalcore che, comunque, imbeve sino alla saturazione il sound dell’album stesso.
Ciò significa che, sostanzialmente, si tratta dello stessa terminologia per definire uno stile moderno, attuale, in perfetta sintonia con le sonorità che, in campo *-core, vanno per la maggiore.
Non per questo, però, si può parlare dei Nostri come un semplice combo di cloni. Tutt’altro. Anzi, pur essendo un prodotto fai da te, “Stranger Shores” ha tutte le carte in regola per non sfigurare nell’ambiente hardcore / metalcore non solo nazionale. Sì, perché, comunque, si percepisce con forza l’asprezza e lo spirito di ribellione che formano le basi dell’hardcore (‘Those Rivers’), appunto, elementi primigeni dello stesso “Stranger Shores”.
Il confine fra i due generi è spesso labile, e i Dead Like Juliet si può dire che vivano a cavallo di essi. Anche se, in generale, l’utilizzo delle tastiere e la riproposizione di refrain melodici (‘The Change’), unitamente ai caratteristici cori anthemici, fanno di “Stranger Shores” un esempio di metalcore… italiano.
La formazione a sei elementi, peraltro, consente di metter su un suono potente, fragoroso e rutilante, ovviamente comprensivo delle bordate che solo i breakdown sono in grado di generare. Un suono pulito, ficcante e senza difetti di sorta. Qualità abbastanza rara in lavori privi di un qualsiasi supporto discografico ufficiale alle spalle.
Imprescindibile l’utilizzo di due chitarre, condizione necessaria ma non sufficiente a creare quel muraglione di suono sul quale poter vergare armonie, soli, ritornelli e quant’altro tipicizzi lo stile. Stile anch’esso piuttosto ben definito, in grado di uniformare i vari brani in una foggia rimandabile solo e soltanto ai Dead Like Juliet. Musicisti evidentemente capaci, dotati di buona tecnica come dimostra la dimestichezza con la quale viene elaborata ‘Scared’, pezzo scandito dalle ottime linee vocali di Ale che canta… veramente, cioè non eccedendo in harsh vocals monotone e ripetitive.
Come già accennato il sestetto italiano utilizza parecchio la soluzione dei cori a sostegno dei ritornelli. Una soluzione classica, la quale non offre certo spunti di originalità assoluta ma che si adatta perfettamente al loro modo di suonare. Del resto, quest’ultimo è proprio uno dei segni distintivi del metalcore, e privarsene sarebbe un errore. Come sarebbe un errore rinunciare a canzoni obiettivamente dure e cattive, scevre da melodie accattivanti e quant’altro di simile, tipo ‘Built On Crime’.
Non mancano gli incipit ambient dal risvolto visionario, idonei per creare atmosfera, per approfondire la profondità emotiva della musica. La strumentale ‘Wanderer’ ne è un esempio, con il suo incedere a mano a mano sempre più veloce e la sua attitudine melanconicamente sentimentale.
“Stranger Shores” è un’Opera Prima abbondantemente sopra la sufficienza, realizzata con puntiglio e professionalità, in grado di competere tranquillamente con le migliori proposte attuali in materia. I Dead Like Juliet sanno il loro fatto, e ciò che fanno, lo fanno bene e con passione.
Casa discografica cercasi.
Daniele “dani66” D’Adamo