Recensione: Stream of Misery

Di Giuseppe Abazia - 6 Gennaio 2008 - 0:00
Stream of Misery
Band: Ophis
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
87

Straordinari. Questi Ophis sbucano fuori dall’underground tedesco quasi in sordina, e subito si impongono come uno dei migliori nuovi gruppi della scena death-doom, grazie a un disco uscito senza troppo rumore attorno a sè, eppure capace fin da subito di dettare legge in un campo nel quale non è facile distinguersi con una personalità così spiccata e con una resa qualitativa così impeccabile. Intendiamoci, gli Ophis non inventano niente di nuovo: il loro è death-doom vecchia scuola, diretto e senza fronzoli, che a livello strettamente stilistico poco aggiunge a ciò che altri gruppi avevano già detto prima di loro. Ma d’altra parte il death-doom non è certo una branca che ha mai richiesto particolari innovazioni per risultare interessante ed efficace: ciò che è importante, invece, è l’ispirazione compositiva, la capacità di creare melodie in grado di tenere sempre desta l’attenzione senza perdere di vista la pesantezza sonora che contraddistingue questo genere.

Nati nel 2001 sotto la leadership di Philipp Kruppa, gli Ophis diventano ben presto – a causa di problemi di line-up – una one-man band, i cui sforzi si concretizzano un anno dopo nel demo Empty, Silent and Cold. Nel 2003 Phil riesce di nuovo a mettere insieme una formazione completa, con la quale viene registrato, a fine 2004, l’ottimo EP Nostrae Mortis Signaculum; circa due anni sono passati da allora, due anni di intensa attività live che progressivamente ha consacrato gli Ophis come una delle band più promettenti dell’attuale panorama death-doom. Ora, nel 2007, le promesse possono dirsi completamente mantenute: Stream of Misery, loro primo full-length, è un lavoro coi fiocchi, un disco eccezionale che rientra di diritto fra le migliori uscite doom dell’anno. Ma andiamo ad analizzarlo più attentamente.

Il genere di riferimento è il death-doom anni ’90, quello grezzo, brutale, privo di qualsiasi concessione a romanticherie goticheggianti; lo stile aggressivo e violento – ma certo non privo d’atmosfera – che ha avuto fra i suoi esponenti più illustri gruppi come Disembowelment, Dusk, Decomposed, primi Morgion, Ceremonium. Gli Ophis si rifanno a quel modo di intendere e suonare doom, operando una rilettura in chiave più moderna di un genere che sta prepotentemente tornando alla ribalta; a differenza di alcuni dei nomi sopra menzionati, però, gli Ophis non sconfinano mai nel puro death metal, ma tengono sempre ben salde le loro radici nel doom, anche durante le sezioni più veloci. Le canzoni, tutte di durata considerevole (la più breve sei minuti e mezzo, la più lunga undici minuti), si assestano su un generale mid-tempo, che però non teme di variare il suo andamento con rallentamenti che esaltano la monolitica possenza della musica, e accelerazioni dal galvanizzante groove. Il sound, complice una produzione praticamente perfetta, ostenta una potenza inaudita, con delle chitarre piene, compatte, pesanti, e con un basso perfettamente udibile ed estremamente incisivo, che in alcune occasioni viene anche lasciato a condurre le fila della musica, dando al tutto un alone decisamente catacombale e sinistro; la batteria, ora più cadenzata, ora più violenta, si distingue per il suo suono pulito, e per la varietà con cui sottolinea ogni cambio di tempo delle canzoni. Un altro dei maggiori punti di forza degli Ophis è la voce, costituita da un growl leggermente urlato di grande versatilità e dalla devastante carica distruttiva, capace di modulare la propria tonalità ora verso ruggiti cavernosi, ora verso screams folli. Ma Stream of Misery non è solo brutalità: in mezzo a cotanta orgia di potenza trovano anche spazio – inserite con saggia parsimonia – sezioni più melodiche e stacchi acustici che creano un’atmosfera assolutamente sepolcrale e solenne, quando non intrisa di un raggelante senso di nichilistica disperazione. Superfluo, poi, stare a disquisire di ogni singola traccia in un album che fa della continuità qualitativa uno dei suoi principali pregi, in cui ogni canzone si assesta sugli stessi elevati standard senza riempitivi di sorta, pur mostrando ciascuna la propria particolarità che la differenzia rispetto alle altre.

Difficilmente uso la parola “capolavoro” per album di gruppi agli inizi, che dunque hanno ancora della strada davanti a sè e margini di miglioramento, ma gli Ophis, con Stream of Misery, hanno composto davvero un piccolo gioiello praticamente privo di difetti, le cui caratteristiche di estrema pesantezza lo indirizzano specificamente agli amanti della frangia più dura e sfibrante del doom (mentre potrebbe risultare indigesto per chi invece cerca più melodia e romanticismo). Chi abbia voglia di ottimo, solido death-doom, magistralmente composto e suonato, e foriero di grande personalità e passione, smetta di guardarsi intorno: gli Ophis forniscono risposta a tutte queste richieste. Con solo un demo, un EP e un full-length all’attivo, questo quartetto tedesco può già considerarsi una delle stelle più brillanti del firmamento del doom; mi chiedo cosa saranno capaci di tirare fuori in futuro, se questi sono solo gli esordi. Personalmente non vedo l’ora di scoprirlo.

Giuseppe Abazia

Tracklist:
1 – Godforsaken (11:03)(mp3)
2 – Beneath Sardonic Skies (9:02)
3 – Dead Inside (6:24)
4 – Pazuzu (7:21)(mp3)
5 – Dolor Nil Finis (10:06)
6 – Black Wish (7:57)
7 – Thy Flesh Consumed (7:22)

Ultimi album di Ophis

Band: Ophis
Genere:
Anno: 2007
87