Recensione: Strong
Torna la bella Anette Olzon con il suo secondo capitolo solista, dopo “Shine” del 2014 e l’Ep “Vintersjäl/Cold Outside” del 2016. Malgrado l’eterna etichetta appiccicatale addosso di “ex cantante dei Nightwish”, la Olzon in vita ha sua ha fatto parecchio altro; figlia di musicisti, è in contatto con la musica praticamente da sempre, suona l’oboe, ha studiato in conservatorio, ha partecipato a musical e frequentato la Balettakademien di Göteborg, oltre ad aver già prestato la sua voce ad una dozzina e passa di diversi project, tra collaborazioni, ospitate e band più o meno definite. Tra 2017 e 2019 ad esempio sono usciti i due album dei The Dark Element che la vedono front woman, un power/symphonic metal act piuttosto pregevole, in scia dei Nightwish ma meno pomposo, più quadrato e digeribile. Questo nuovo “Strong“, forte dell’appoggio di Magnus Karlsson (tremila band nel curriculum, tra le quali la più importante è probabilmente quella dei Primal Fear) sostanzialmente prosegue le atmosfere riscontrate su quei due album, aggiungendo magari un flavour vagamente più modernista e ritagliato su misura sulla silhouette della Olzon. Undici tracce per 53 minuti che danno corpo ad un album (fin troppo) omogeneo e coerente. Se a livello stilistico non ci sono grandi novità da segnalare bensì un percorso che prosegue sui binari da sempre più congeniali ad Anette, qualitativamente il disco si mostra poco coraggioso e meno brillante di altre produzioni firmate dalla cantante finnica. Da un punto di vista formale “Strong” è molto curato, ottimi suoni, un’atmosfera che non lascia vuoti o momenti non decorati da keyboards, stacchi, chitarre robuste (i “riff incendiari” di Karlsson, recita la bio) e la voce di Anette illuminata dai riflettori, tuttavia andando al cuore del songwriting si avvertono non poche fragilità, a mio parere.
L’album è cantato da Anette ma di fatto potrebbe essere il lavoro di qualsiasi altra band orbitante nel panorama del power sinfonico, non ci sarebbero differenze sostanziali. Non c’è insomma un singolo passaggio che faccia di “Strong” qualcosa che appartenga solo e soltanto ad Anette, e che lo ritagli come un lavoro particolare, specifico, non dico “unico” ma nettamente distinguibile e riconoscibile. Quegli occhi celesti evidenziati in copertina ci attirano e colpiscono la nostra attenzione ma poi in effetti, ascoltando la musica contenuta nei solchi, rimaniamo fuori da quella cornice, nella zona dei colori indistinti. La title-track è forse il momento migliore del lotto, “Bye Bye Bye” e “Parasite” sono altri due esempi discreti, ma più in generale un po’ tutto l’album soffre di una patina di prevedibilità ed anonimato che fa si che, terminato l’ascolto, non si rimanga certo con l’urgenza di correre a riascoltarlo (se non per sperare di confutare questa prima impressione). Difficile ricordarsi e canticchiare qualche pezzo della track-list (a parte quello colloso di “Sick Of You“). Formalmente è tutto al suo posto, l’album è privo di sbavature ma anche privo di vivacità, di intensità, di un cuore pulsante, di un’anima propria. Anette è fantastica e la sua performance rappresenta sempre un valore aggiunto, tuttavia come molte altre colleghe soffre della limitazione di veder depotenziato il suo raggio d’azione se non adeguatamente supportata da un team di songwriter e musicisti capaci di apparecchiarle un tappeto sonoro adeguato, sul quale far esplodere il proprio talento. In qualche misura è quanto accade anche a Tarja (sempre per restare nella famiglia di parenti serpenti dei Nightwish), indiscutibile il valore della cantante, molto di più quello di alcuni suoi album; evidentemente la sinergia di validi band-mates eleva a potenza il risultato finale, creando la magia. Anette da sola, con questo tipo di dischi dal modesto peso specifico, non può spiccare il volo e deliziarci come Madre Natura le avrebbe permesso di fare.
“Strong” è un album di power metal con elementi ora sinfonici ora modernisti che va a porsi accanto a tanti altri come lui, non c’è un reale motivo che spinga a preferirlo se non l’affetto e la curiosità che si possono nutrire per Anette Olzon. Non un lavoro mediocre o orrendo, affatto, ma certo neppure sensazionale o particolarmente significativo. Siamo sulla piena sufficienza, incolore e ordinaria, un compitino in cui un po’ tutto è prevedibile, intuibile, calcolabile con largo anticipo (a cominciare dagli inutilissimi inserti di cantato growl, che oramai sono la quintessenza della banalità in questo tipo di produzioni). Anette ha bisogno di una band che ponga l’accento su di lei senza tuttavia sacrificare qualità e spessore del songwriting, come un tempo erano i Nightwish, prima che si trasformassero in una orchestra tronfia ed ampollosa. La voglia e forse anche la necessità di rimanere sul mercato spingono molti artisti a spendersi in tanti progetti e collaborazioni diverse, e quando anche queste latitano, arrivano gli album solisti; ma a tanto vigore commerciale non sempre corrisponde qualcosa da dire di reale, vero, sentito. “Strong” svolge la sua funzione di ricordarci che Anette c’è, è viva, vegeta e volitiva, ma aspetta qualcuno che possa scrivere per lei e con lei un buon album di musica metal.
Marco Tripodi