Recensione: Stronger
Il 2006 per Michael Bormann è stato un anno decisamente pregno: in rapida sequenza, a partire dalla fine di ottobre sono usciti Runaway To The Gods, con Zeno Roth, un disco solista dal titolo “Conspiracy” (che verrà recensito a breve sul nostro portale), e questo “Stronger”.
Si tratta del secondo album, dopo il debut “House of dreams” del 2002 per i Rain di Lars Forseth, fondatore nella band insieme all’altro ex Bankok Babes, Sonny Crow (oggi non più della partita), e qui affiancato dal batterista Per-Helge “Peppa” Bruvoll (anche lui nei Bankok Babes) e dal chitarrista Tore Moren (Jorn).
Bormann, impegnato anche nelle parti di basso e tastiera, ha registrato il disco nel suo studio di Duisburg, e deve essere additato principalmente a lui il sound marcatamente teutonico che influenza dei brani originariamente concepiti nel più classico melodic rock scandinavo; del resto gli altri membri della band, tutti norvegesi, spingono pesantemente in questa direzione in fase compositiva.
Così il connubio è facilmente intuibile, e ricorda molto ciò che abbiamo apprezzato con Bormann nei Jaded Heart, ovvero fino all’album “IV”, ma tutta la fitta schiera di melodic rocker tedeschi potrebbe essere chiamata in causa come termine di paragone: gli immancabili Fair Warning, nelle ariose melodie di “Insobriety” e “Flesh And Blood”, o i Kingdome Come nella più dura “Do You Like It”, e mentre Bormann si lascia andare addirittura ad acutoni rarissimi nel genere (“Insobriety” e “The Other Side”), il resto della band deve “sacrificarsi” ad accogliere le fan impazzite dal revival bonjoviano (il Bon Jovi degli esordi, s’intende) di brani come “Crazy”, “I Die For You” e “Lovesong”… Certo è che il confronto estetico non verte a favore dei Rain…
Nei brani lenti, come la citata “Lovesong”, ma un po’ in tutto il trittico finale, il nome della band newyorkese diventa più che una semplice reminiscenza, e l’affiancamento diviene obbligatorio, quasi imbarazzante, trattandosi di un impaccio per tutti tranne che per Bormann, totalmente a proprio agio grazie anche alla straordinaria somiglianza timbrica col frontman americano.
A parte questo, che rimane insindacabilmente un criterio di giudizio soggettivo, sono ben poche le macchie di questo platter, ascrivibili ad episodi, come la conclusione di “The Other Side”, affidata ad isolati synth davvero brutti, o all’eccessivo martellamento di “Flesh And Blood”, praticamente un refrain di quattro minuti…
Consigliato a chi rimpiange ogni giorno i primi tre dischi dei Bon Jovi, oltre, ovviamente, a tutti gli appassionati del melodic rock europeo.
Tracklist:
- Do You Like It
- Insobriety
- Get Over It
- Crazy
- Die For You
- Flesh And Blood
- Let Me Be Your Favorite
- The Other Side
- Deserve
- Right By Your Side
- Lovesong