Recensione: Stronger, Perfect
Il progressive è materia ben conosciuta e dominata qui in Italia come ormai storicamente dimostrato dai nostrani gruppi entrati di diritto nel gotha mondiale (PFM, Banco, Area, ecc…).e proseguita egregiamente dalle nuove leve come i romani Fifth Season, qui giunti all’agognato traguardo del primo album dopo anni passati a plasmare la sostanza prog con tutti quegli elementi elaborati dal loro gusto e da anni d’esperienza live forgiata tra i palchi della penisola.
Una band coesa e potente, tecnicamente molto preparata che funge da trait d’union tra l’originario modo di intendere il prog e le più recenti influenze metal che hanno permesso a questo genere di risorgere dalle proprie ceneri.
“Stronger, Perfect” riprende il discorso intrapreso dalla band con l’omonimo promo del 2004 ampliandolo ulteriormente, snodandolo come un complesso concept suddiviso in diversi atti comprensivo di prologo, interludio ed epilogo, che però dopo un attento ascolto sa ammaliare grazie ai continui cambi e rimandi che rendono il tutto coeso nonostante la complessità del progetto.
Un disco non di facile assimilazione, che se da un lato può sembrare un limite all’accessibilità, dall’altro premia l’attento ascoltatore con una giostra emozionale fatta d’eteree atmosfere alternate a sfuriate metalliche ed epiche cavalcate riuscendo altresì a costruirsi intorno una solida identità senza risultare l’ennesima clonazione di act tanto in voga oggigiorno.
La band non disdegna l’utilizzo di basi pre-registrate per condurci all’interno del loro mondo fatto di richiami ai numi tutelari della storia del prog, che grazie alle notevoli doti del tastierista Marco “Vonkrevtz” Novello riportano alla mente blasoni immortali come Yes, ELP, Area.
Il doppio lavoro del singer Francesco “Bodhi” De Raffaele, qui all’opera anche in veste di flautista, aggiunge un nuovo elemento a quelli sopra descritti, palesati nella forma degli imprescindibili Jethro Tull, mentre l’utilizzo di toni più “rochi” nella sua voce carica ed interpretativa dona un che d’aggressivo che non stona ma che semmai accentua la drammaticità d’alcuni passaggi alternati a momenti più epici, ricordando in alcuni frangenti Mike Patton o ancor di più Devin Tonwsend.
Poliedrico è il lavoro di Cristiano “Chris” Grifoni massiccio cesellatore di riff, talvolta ai limiti del death più estremo, ulteriormente accentuato dall’uso di suoni molto compressi, si rivela anche fantasioso ricamatore con arpeggi eterei ed evocativi. Particolare è l’impostazione usata da Cristiano, che da mancino qual è suona rigirando una chitarra per destri con le corde invertite.
Sezione ritmica potentissima e di gran classe quella palesata dal bassista Valerio “Sirio” Pappalardo, capace di tenere botta nei momenti più irruenti così come di ritagliarsi degli spazi dove spicca tutto il suo buon gusto in termini di fraseggio.
Il lavoro alla batteria di Stefano “Blacksmith” Rossi si rivela potente e mai tracimante. Riesce ad evidenziare i vari stati d’animo del disco nonostante il suo strumento suoni troppo secco in taluni frangenti a causa di un mixaggio non perfettamente messo a fuoco che penalizza anche il suono del basso, ma questo non impedisce all’astante di apprezzarne le qualità.
“Stronger, Perfect” è un album dalle molteplici sfaccettature, costruito intorno allo story arc basato su una neo mitologia elementale ideata dal singer Bodhi, mirata come esempio per un ritorno a valori quali amore, verità e rispetto.
La successiva disamina “track by track” è resa necessaria vista la laboriosità del prodotto in questione:
Prologue – The First Sun: Lunga intro strumentale in crescendo (su tappeti di synth), vede crescere progressivamente il suo incedere su dei pesanti riff, adagiandosi dolcemente sulle tastiere dando spazio al cantato evocativo, per incresparsi in seguito su ritmiche di stampo simil trash a riportare alla mente alcune cose dei Pain Of Salvation.
Act I & II – The Law/The Hatch: Eteree tastiere accompagnano il botta e risposta tra gli arpeggi di chitarra e la voce.
Act II – Mountain: Nenia minacciosa della tastiera, apre su un muro di synth dai suoni oscuri per la voce enfatica. Apre decisa sul refrain continuando tra riff più serrati e continui cambi di tempo.
Act II – Flow: Altro breve interludio strumentale dai rimandi new age.
Act II – Valley: La voce si muove tra le tastiere e gli arpeggi di chitarra, ottimamente assecondati dal basso, aprono potente sul refrain dai toni epici. Bello l’inserto di moog dopo il chorus. Pezzo strutturalmente più accessibile.
Act III – The Marching Truth: Si torna a pestare sul lato più heavy del gruppo, con il martellare tagliente della chitarra. La voce è filtrata sulla strofa, mentre si distende sul refrain dove è doppiata da un controcanto in growl. Pezzo aggressivo, ricorda in molti punti i Faith No More pur rimanendo sempre in territori prog.
Interlude – The Hidden God: Interludio strumentale dove spicca il solo di chitarra, al termine del quale è la batteria ad alzare il tiro, tra i dialoghi intessuti tra flauto e chitarra e gli interventi di hammond.
Act IV – 0 Theophagos: Forse il brano più rappresentativo delle peculiarità della band, che si muove tra toni pomposi ed altri più evocativi, con molteplici cambi (armonici e di tempo).
Epilogue – The Demission: Lunga chiusura, indurisce la sua trama progressivamente tra continui cambi di tempo sempre molto serrati fino a che una delicata voce femminile accompagnata da una lunghissima coda di tastiere e feed di chitarra pone il sigillo sulla suite.
La complessità della trama dimostra come i numerosi richiami di cui sopra non sono un mero sfoggio di capacità, ma altresì conferma un estro che non teme di avventurarsi in territori tanto impervi quanto apparentemente diversi, miscelando efficacemente il prog con altri stili quali il thrash, il crossover, il gothic e quanto altro necessario alla narrazione della storia.
“Stronger Pefect” è un disco da ascoltare attentamente e da godere appieno grazie anche al certosino lavoro svolto per la grafica del corposo booklet e dai contenuti multimediali del cd, ennesima dimostrazione di quanto la band non si è risparmiata nell’investire giustamente su di un prodotto dalle notevoli doti, confermate anche dal vivo, dove i ragazzi riescono ad infondere nei loro spettacoli un’intensità addirittura maggiore di quella manifestata in questo spettacolare debutto.
Come scritto in apertura, la scena italiana può tranquillamente affacciarsi con orgoglio al di fuori dei confini territoriali, forte di gruppi dal gran potenziale come i Fifth Season.