Recensione: Strychnine.213
Doveva arrivare, il momento in cui gli Aborted avrebbero smesso di essere quel bulldozer che sono sempre stati. Sin dal debutto The purity of perversion e dalle sue suggestioni carcassiane, continuate poi nei sublimi Engineering the dead e soprattutto il binomio Goremageddon: The Saw and the Carnage Done / The Archaic Abattoir, i belgi sono stati l’emblema del brutal intelligente, aperto a volte alla melodia acida e al groove ma ben attento a focalizzare la propria attenzione sull’impatto senza compromessi, sul riffing brutale a tutti i costi. Oggi non è più così.
Come già evidenziato per il precedente Slaughter & Apparatus: A Methodical Overture, il passaggio a una grossa label raramente fa bene a gruppi come loro: c’è poco da fare, un suono già pesantemente tentato da aperture core tende a lasciarsi andare, ed ecco cos’è successo sul nuovo Strychnine.213. Gli Aborted sono oggi un gruppo ormai dichiaratamente deathcore, con il brutal relegato solo alle parti più cavernose del cantato di Sven de Caluwe, e arrangiamenti talmente leggeri da risultare quasi imbarazzanti per un gruppo che ha fatto la storia del modo moderno di pensare la musica estrema.
La batteria è prodotta con suoni che le fanno perdere la potenza per cui era conosciuta ai loro fan, e la nuova (ennesima) formazione non dà l’ide agenerale di poter competere con quelle precedenti, specialmente quella del periodo 2003/2005: pochi assoli, di stampo quasi elementare; riffing ripetitivo e senza picchi, che rende difficile anche solo far risaltare e descrivere una canzone rispetto a un’altra; cantato che mantiene le sue peculiarità, ma si perde nel tessuto sonoro ormai non più adatto a quel tipo di growl. Una debacle quasi totale insomma, anche se ovviamente la perizia strumentale e l’esperienza tengono a galla gli Aborted e li salvano da una rovina completa.
La delusione deriva proprio dal fatto che Strychnine.213 è, in buona sostanza, un album noioso, piatto, banale: una sorta di metalcore brutallizzato che non lascia segno, e che fa rimpiangere il loro modo di rivedere in chiave brutal Necroticism o Heartwork dei Carcass. La cosa che fa più male, forse, è sentire riff innocui come quello che apre Enterrement of an idol, rappresentati da una cover e da titoli che illudono i fan di uno spessore che Sven e i suoi (temporanei) soci paiono aver perso, almeno per ora.
Delusione dell’anno, probabilmente: non osano, anzi, si arrendono. E dagli Aborted questo non ce lo si aspetta proprio.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Carrion 01:46
2. Ophiolatry On A Hemocite Platter 04:52
3. I35 03:45
4. Pestiferous Subterfuge 04:24
5. The Chyme Congeries 03:46
6. A Murmur In Decrepit Wits 04:43
7. Enterrement Of An Idol 03:24
8. Hereditary Bane 02:49
9. Avarice Of Vilification 03:35
10. The Obfuscate 04:09