Recensione: Sturmpanzer

Di Daniele D'Adamo - 9 Dicembre 2018 - 0:34
Sturmpanzer
Band: Tank
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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80

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Londra. 1978. Una band di punk rock assurge a livelli di notorietà nazionale e non solo. Sono i The Damned. Fra le loro fila, il bassista Algy Ward. Giovanissimo, si distingue dagli altri tre (Dave Vanian, Captain Sensible e Rat Scabies) per il suo abbigliamento da metallaro, fedele alla nascente epopea della NWOBHM. Una volta terminata l’avventura con i The Damned, nel 1980 Ward forma i Tank.

Tank che, con il debut-album “Filth Hounds of Hades” (1982), si rivelano come una delle formazioni più estreme della citata NWOBHM. Assieme ai Motörhead ai quali, ingiustamente e distrattamente, i Nostri sono accomunati come semplici cloni. La realtà delle cose è ben diversa e lo dimostra il terzo album, “This Means War” (1983), diventato una vera leggenda grazie a song indimenticabili quali ‘Just Like Something from Hell’, ‘Laughing in the Face of Death’, ‘Echoes of a Distant Battle’ e, soprattutto, la mitica, indimenticabile title-track, clamoroso ed eterno cavallo di battaglia. L’ensemble è quello che fa venire i brividi sulla pelle ancora adesso: Ward (voce e basso), Mick Tucker (chitarra), Peter Brabbs (chitarra) e Mark Brabbs (batteria).

Dopo varie vicissitudini inerenti la line-up, conflitti fra i membri e un lungo periodo sabbatico, il sesto full-length, “Still at War” (2002, formazione:  Ward, Cliff Evans – chitarra, Tucker e Bruce Bisland – batteria), assieme ai successivi lavori “Live and Rared” (2007) e “The Filth Hounds of Hades – Dogs of War 1981-2002” (2007), decretano di fatto la tricotomia dei Tank in tre… Tank, appunto. I Tank originali (1980 ÷ 2007), i Tank di Tucker ed Evans (2007 ÷ ) e i Tank di Ward (2007 ÷ ).

Tank di Ward che prendono forma e sostanza con il neo debut-album “Breath of the Pit” (2013) e, soprattutto, con l’ultimogenito “Sturmpanzer”; opere nelle quali Ward fa tutto da solo, decretando al complesso lo status di one-man band.

A parere di chi scrive è però in questi Tank che si ritrova appieno, a tutto tondo, lo spirito, l’anima, il cuore dei Tank originali: “Sturmpanzer” non è tanto un tuffo nel passato, quanto un’opera che svela con naturalezza le sonorità vere, genuine, intatte, di quel sound bellicoso che animava i primi dischi dei Tank di Ward, Tucker, P. Brabbs e M. Brabbs. Un sound potente, robusto, forse un po’ caotico in certi momenti, quasi a rammentare, inconsciamente, gli anni del punk. Un sound unico grazie alla coesione fra i vari strumenti e la voce, che cementava e cementa una macchina da guerra (tank?) in grado di offrire un impatto frontale notevole. Sia allora, sia adesso.

Un sound che vive, si anima, esplode a partire dalla stupenda opener-track, ‘2000 Miles Away’, ove si trova l’elettronica (in uso dal gruppo anche negli anni ’80) ma soprattutto un killer-chorus super-melodico che, come un trapano, fora il cranio per entrare per sempre nella mente. Il sound è quello vero, quello autentico, che puzza di gasolio e suona di sferragliamento come un carro armato. Ovvia la predominanza del basso (e non poteva essere altrimenti), con Ward tornato in piena forma anche con la sua ugola dal tono classico, un po’ roca, un po’ melodica, molto NWOBHM. Notevole, anche, la riproposizione di un guitar-sound grezzo e spigoloso, fatto di riff la cui natura primigenia, in ambito metal, è elaborata per sferzare, lacerare, demolire.

Immancabili i canti camerateschi che preparano, eccitano, incitano i soldati alla battaglia, che fondano ‘No More War’; cori lacerati, strappati da assoli lancinanti e anche dotati di una certa armonia. Anche questa caratteristica dell’ortodossia chiamata Tank. Così come sono immancabili alcuni richiami al passato remoto. ‘Revenge of the Filth Hounds (Parts 1 & 2)’, in particolare, oltre a riproporre l’incipit elettronico di ‘Laughing in the Face of Death’, riprende per mano la title-track di “Filth Hounds of Hades”. C’è pure spazio per l’hit: ‘Lianne’s Crying’, dall’andamento epico, abbondantemente bagnata nella dolcezza delle tastiere, significativa del talento compositivo di Ward, capace di spaziare come vuole a 360° attorno al quel magico nucleo di metallo puro, incontaminato, che si chiama heavy metal.

Ma è con il rifferama assassino di ‘First They Killed the Father’ che si rinnovano appieno i fasti di echi lontani. Ward è incisivo, rispettoso della forma-canzone rock – tutte le tracce hanno un capo e una coda…, in grado di rendere ciascuna song viva di per sé. Senza che nessuna copi l’altra, in una diversità che, alla fine si coagula nello stile inimitabile dei Tank originali. Stile insito nel DNA di Ward soltanto, inimitabile per tanti motivi. Uno già menzionato oltre agli altri più su citati: l’ardita commistione fra elettronica ed heavy metal (‘Sturmpanzer (Parts 1 & 2)’, assai comune adesso ma rara anzi rarissima nei primi anni ’80. Poi, ancora, la profondità di mid-tempo assai pesanti ma anche melodici, corroborati da coralità anthemiche da urlare affratellati, come in ‘Living in Fear of…’. E ancora, la ferrea attitudine da metallaro… l’originalità dei temi trattati… il sound, dotato di un’anima spessa, d’acciaio… il mood un po’ cupo e a volte anche un po’ triste.

L’anima dell’heavy metal.

L’anima dei Tank di Algy Ward anzi dei veri Tank

… e la leggenda continua!

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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