Recensione: Stygian Shore

Di CirithUngol - 1 Novembre 2003 - 0:00
Stygian Shore
Etichetta:
Genere:
Anno: 1984
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70

Gli Stygian Shore rappresentano attraverso questa loro unica testimonianza vinilica il passaggio naturale attraverso il quale molte band dei primi anni ottanta si spostavano dal tipico hard rock settantiano all’heavy metal, in questo caso di stampo americano con leggere ma importanti incursioni in territori epici. Le informazioni su questa leggendaria band sono praticamente inesistenti. Le uniche notizie che sono riuscito a reperire provengono direttamente dal leader dei Manilla Road Mark “The Shark” Shelton ( produttore del disco) che confermò in un intervista di qualche anno fa l’esistenza del demo del loro secondo lavoro che purtroppo non venne mai dato alle stampe. Gli Stygian Shore non hanno avuto alcun peso nella storia dell’Heavy Metal ne possiamo affermare che il loro mini Lp sia indispensabile in ogni discografia che si rispetti, eppure il trascorrere del tempo, la scarsa reperibilità ( voci non confermate raccontano che la maggior parte dei vinili venne danneggiata dell’acqua!?!?!) e perché no, anche la grezza ma affascinante copertina, hanno fatto si che questo mini album si trasformasse in un classico oggetto di culto da parte dei maniaci del vinile metallico di mezzo mondo raggiungendo quotazioni esagerate. Ma veniamo ai contenuti di questo leggendario lavoro. Il mini è composto da quattro canzoni che come detto in precedenza alternano passaggi Hard Rock ad altri Heavy Metal inglobando al suo interno alcuni fraseggi che inequivocabilmente riportano alla mente i primi Manilla Road. Il disco è aperto dalla metallica “Stygian Metal”, tipica metal song con buone linee vocali e ottimo riffing di accompagnamento. Niente di trascendentale ma di sicuro impatto in un’ipotetica esibizione live. Si cambia totalmente registro con la successiva “Luv Ta Rock Ya” un heavy / rock frizzante e melodico dall’andatura allegrotta che pur allontanandosi dai territori metallici risulta comunque piacevole. Il lato B si apre con la traccia più bella dal disco non che quella più epica. Tidal Wave per quanto mi riguarda non avrebbe sfigurato in Crystal Logic. Il riff portante sembra uscito direttamente dalla chitarra di Shelton il che mi fa pensare se The Shark oltre che produrre il disco non abbia anche partecipato alla stesura di qualche song. Rispetto alle restanti canzoni Tidal Wave risulta abbastanza articolata con un bell’assolo posta nella parte centrale del brano che anticipa il ritorno del monolitico e tetro riffing iniziale. “Don’t Look Now “, piacevole nel suo incedere, condita da buone linee vocali, chiude il disco riportandolo su territori Hard Rockeggianti.
A conti fatti il disco pur non avendo un’identità ben precisa non presenta comunque cadute di tono risultando a fine ascolto un discreto esempio di quello che l’underground americano proponeva agli inizi degli anni 80 e lasciando comunque intravedere grosse capacità artistiche che purtroppo il destino ha impedito di svilupparsi.

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