Recensione: Subconscious
Negli anni Cinquanta Andy Warhol aveva teorizzato per la prima volta la serializzazione di uno stesso quadro. Basta pensare alle lattine Campbells, a Marylin e a Mao. Portando avanti il suo discorso e stravolgendolo anche un po’, si può arrivare alla copia (serializzazione) della copia. Non necessariamente questo è un demerito, ma nel caso degli Artificial Wish si ha l’impressione contraria, ovvero quella di una band che conosce di sicuro il genere, ma che copia troppo da gruppi quali gli Enter Shikari o gli In Flames, risultando un ibrido senza una direzione. Trovo questa una scelta troppo semplicistica, perché ormai il nu-metal e il crossover sono generi commerciali, ascoltati anche da adolescenti non avvezzi al metal, ma pompati da MTV a scapito di altri generi meno in voga, ma più affini al credo metal. Inoltre le case discografiche puntano tanto su questo genere; pertanto trovo troppo comodo usufruire di un successo predefinito, per costruirsi una propria carriera.
Detto ciò, si sente subito nel songwriting e nell’uso delle chitarre melodiche, un’assonanza troppo forte con gli ultimi In Flames, quelli più commerciali e criticati. Inoltre nei cori si sente l’influenza degli Enter Shikari, soprattutto quando il cantante spinge di più col growl. Altre influenze potrebbero essere i Linkin Park per il modo di confezionare i brani e i Killswitch Engage. E’ chiaro che il target non sia il metallaro classico, ma le nuove leve! Il gruppo nasce nel 2006 per volere degli ex membri degli Sliding Doors, Michele, Gianluca e Riccardo. Sarà poi il cantante Andrea a spingerli verso un Metalcore dalle venature melodiche. Nel 2009 Gianluca deve abbandonare il progetto e nell’agosto dello stesso anno vengono ingaggiati il chitarrista Diego e il bassista Andrea “Cene”.
L’album d’esordio, “Subconsious”, purtroppo è piatto, soprattutto per la voce monocorde di Andrea, nonostante le trame chitarristiche siano buone. Alcuni effetti li trovo veramente inappropriati, come la voce metallica e distante di “’Till The End”. La sensazione è che la band debba crescere molto e che qui abbiano fatto il “compitino”.
La prima traccia “Preface” ci permette di entrare nel mondo degli Artificial Wish. “Spin” inizia subito con un bel riff di chitarra, potente ma anche melodico, ma, al minuto 0:20 la traccia di basso ha un effetto sgradevole all’ascolto e purtroppo non cambierà più registro condizionando anche il cantato troppo monocorde, non tanto nella tonalità, quanto negli effetti usati. “Evidence” sembra fin dall’inizio il fratello più piccolo di “Spin” quasi fossero una canzone sola. “My Clay’s World”, molto simile alle altre due, vede però l’introduzione di parti chitarristiche più melodiche e l’utilizzo, finalmente, del growl da parte del cantante, che spezza un po’ la monotonia di fondo. “One” invece si apre come una ballata ma al minuto 1:20 il gruppo inizia a pestare. Solo verso la fine si sente un po’ di melodia. “Infected Thoughts” è a mio avviso la migliore, semplicemente perché diversa dalle altre. Si apre subito con una parte di growl, riff meno melodici e trame chitarristiche meno monotone. “’Till The End” pur non essendo una ballata classica, ha tutte le caratteristiche delle ballate e nell’economia dell’album risulta essere un pezzo melodico. “Halo” e “The Line” non aggiungono niente a quanto scritto sopra.
Purtroppo gli Artificial Wish devono cresce tanto e questo “Subconscious” è, ahimè, un buco nell’acqua, con alcune valide idee lasciate però solamente intravedere. Ascoltatelo solo se siete fan incalliti del metalcore, altrimenti andate pure per altri lidi.
Luca Recordati
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Tracce:
1. Preface 1:36
2. Spin 3:26
3. Evidence 3:18
4. My Clay’s World 3:43
5. One 3:35
6. Infected Thoughts 3:10
7. ‘Till The End 3:07
8. The Line 3:24
9. Halo 3:33
Formazione:
Daniele – Voce
Michele – Chitarra
Diego – Chitarra
Cene – Basso
Riccardo – Batteria