Recensione: Subconscious Dissolution Into The Continuum
La tradizione Doom continua con le folli visioni di Subconscious Dissolution Into The Continuum. Fondamentale parlare di ‘tradizione’, visto che la necessità di risultare originali fa capolino ben poche volte all’interno delle quattro tracce. Ebbene sì, quattro granitiche tracce che metteranno a dura prova i nervi e la stabilità emotiva di qualsiasi ascoltatore. Nonostante ciò, il platter è così atmosferico e intenso che rimanerne affascinati è quasi automatico.
Il sound di questo gruppo d’oltremanica, terra che ha da sempre sfornato dell’ottimo Doom, lascia un po’ spiazzati, viste le affinità palesi della scuola Doom Death finlandese (Thergothon e Skepticism in primis). D’altra parte gli Esoteric sono attivi da prima del 1994, data di pubblicazione del loro full-lenght d’esordio, dunque in questo nuovo episodio sono racchiusi più di dieci anni di maturazione concettuale e sonora.
“Morphia“, brano d’apertura, ci offre un’ottima panoramica sulla maniera perversa degli Esoteric di intendere la musica. Angoscia espressa ai massimi livelli, annichilimento quasi totale di speranza e positività. Non sono i tempi rallentati all’inverosimile l’unico strumento in uso, ma l’unione di diverse componenti: le vocals compiono un lavoro essenziale, marcando l’impronta folle della traccia con il continuo sovrapporsi di urla di disperazione e growl raggelanti. Il pattern ridondante è invece supportato da arrangiamenti e arpeggi a cavallo tra la matrice depressive e le monumentali soluzioni di cui il Doom è ricco. Fanno capolino anche dei momenti atmosferici molto intensi, col loro apparire molto discreto ma, azzarderei, fondamentale.
Si cambia registro con “The Blood Of The Eyes“, traccia in cui, al contrario, le atmosfere eteree (soprattutto tastieristiche) sono decisamente abbondanti. L’apertura strizza l’occhio ai conterranei Anathema, periodo Eternity. Un paragone forse un po’ audace, ma abbondantemente suggerito dal lavoro congiunto di tastiere e chitarra. Il tutto viene ovviamente sviluppato nel contesto più pertinente al gruppo, fino ad arrivare, ad un certo punto della traccia, a una nuova chiusura sulle monolitiche strutture di cui già si è parlato.
Non mi soffermo su “Grey Day“, per parlare brevemente della conclusiva “Arcane Dissolution“: in questi ultimi cinque minuti, gli Esoteric portano ancora più in là il proprio concept musicale, facendo confluire in una sorta di lunga outro tutti i propri elementi portanti. Echi delle vocals e vaghi arrangiamenti appaiono a stento in un lungo tappeto dai toni oscuri e parzialmente rumoristici. Questo, appunto, per l’intera durata della traccia. Perchè dunque parlarne?
La risposta come conclusione: perchè è un modo ancor più esplicito di evidenziare lo spirito di questo lavoro. Malinconia e angoscia sono sviluppate in un contesto musicale decisamente misantropo e chiuso a riccio, incorruttibile e poco propenso ad aperture di qualsiasi tipo. Nulla tuttavia è ostentato, ogni elemento trova una sua precisa collocazione e ha un suo significato all’interno del concept. La chiusura a volte quasi eccessiva parrebbe un limite del lavoro, ma ascoltando attentamente è evidente come sarebbe scorretto considerare questo aspetto alla stregua di una critica: Subconscious Dissolution Into The Continuum ha l’unico sviluppo che era auspicabile, viste le premesse con le quali è stato concepito. E il risultato è quanto di meglio era lecito aspettarsi. In definitiva, complimenti agli Esoteric: una gran prova di classe e di coraggio, in un genere dove riuscire convincenti non è da tutti.
Matteo Bovio