Recensione: Sumerian Cry

Di Marco Sanco - 26 Gennaio 2010 - 0:00
Sumerian Cry
Band: Tiamat
Etichetta:
Genere:
Anno: 1990
Nazione:
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79

I Treblinka registrarono il loro primo demo al Sunlight, nel 1988. “Crawling in Vomits” così vide la luce ben prima che i Sunlight divenissero quelli che oggi conosciamo, cioè la culla dello Swedish. Nell’89, prodotto da Nicke Andersson dei Nihilist, esce il demo “The Sign of the Pentagram”, che procura alla band il contratto con la CMFT Productions (che annovererà tra le sue fila anche gli Asphyx, tanto per dirne uno). Prima di avventurarsi in studio nell’incisione di “Sumerian Cry”, Edlund fa uscire il 7” “Severe Abominations”, seconda registrazione della band ai Sunlight, ora però resi famosi dai Nihilist per aver saputo estrarre da loro il proverbiale suono “a motosega” delle chitarre. Possiamo quindi definire “Sumerian Cry” la “summa teologica” del lavoro finora svolto dai Treblinka, che si sciolgono prima dell’uscita del disco che deve venir così immesso nel mercato con un altro moniker, Tiamat appunto.
Da quel lontano 1990 ne sono successe. “Sumerian Cry” è un disco “conteso” (così lo definisco io): c’è infatti chi lo ritiene un album Black, chi, al contrario, lo definisce un caposaldo di puro Swedish Death. Di sicuro i Treblinka sono da annoverare nel Death degli albori, però bisogna pure ricordare che erano tra coloro che andavano meno dietro al filone principale. Una delle definizioni date ai Tiamat, inoltre, è spesso stata il considerarli una band dal forte carattere sperimentale, sempre alla ricerca di elementi innovativi da inserire nel patrimonio della propria musica, aspetto che, peraltro, gli ha permesso negli anni di spaziare attraverso generi molto differenti fra loro. Direi quindi che è meglio concentrarsi sulle canzoni in se e di lasciare il disco “conteso”, in quanto il suo ascolto ci farà sempre sentire diverse anime che convivono al suo interno.

Il “full” inizia con un must dell’epoca, cioè una intro strumentale arpeggiata molto elegante e sfumata (“Sumerian Cry”: Pt. 1”). Segue poi un trittico di canzoni nelle quali le reminiscenze in stile Nihilist/Entombed si sentono tutte. Abbiamo a che fare con chitarroni a muro che vanno dietro a riff incalzanti, con parti ritmiche tirate che non disdegnano saliscendi e con un growl profondo che non vuole privarsi di qualche breve sprazzo gutturale. “In the Shrines of the Kingly Dead”, “The Malicious Paradise” e “Necrophagious Shadows” (inclusa nel secondo demo dei Treblinka, come “Nocturnal Funeral” e “Evilized”) ce le si beve in una sola bella sorsata e non si rimane di certo insoddisfatti.
Apothesis of Morbidity” è uno dei due brani più lunghi dell’opera. Con esso Edlund e soci si avventurano in un arrangiamento più lungo, che tra saliscendi vari comincia a far intravedere delle tendenze più doomy nel sound della band. La ritmica è mediamente più lenta rispetto alla maggior parte degli altri componimenti e compaiono parti più marcatamente strumentali. Il risultato è buono, pur essendo ancora il tutto in una fase molto embrionale ed acerba rispetto a ciò che diverrà in futuro.
Nocturnal Funeral” e “Altar Flame” riportano i ritmi e le sonorità alle origini del “full” e ammetto che la loro particolare ritmica contribuisca parecchio a rendere questo un disco “conteso”. Le qualità tecniche e di esecuzione però non hanno nulla a che spartire con il Black e ci tengo particolarmente a ricordarlo.
Evilized” è un brano molto originale, che oltre a mostrarci le radici Swedish dei Tiamat ci mostra anche quanto già vi fosse di sperimentale nei Treblinka, confermando come la band non seguisse del tutto i canoni puri del Death svedese, andando a cercare idee che possono sembrare addirittura bizzare oggigiorno.
A chiudere la versione su vinile, la seconda prova su arrangiamento lungo: “Where the serpents ever dwell”, che racchiude anche l’outro dell’opera. Sicuramente passa agli annali come uno dei masterpiece di Edlund e compagnia. Come in “Apothesis of Morbidity” la ritmica si fa più lenta e l’atmosfera è molto più oscura e doomy, tanto da far ipotizzare che siamo di fronte al primo brano Death/Doom composto dalla band. Rispetto ad “Apothesis…” l’arrangiamento è più curato ed ha sicuramente perso quel tocco acerbo, tanto che “Where the serpents ever dwell” compare in quasi tutte le raccolte pubblicate negli anni a venire.
La versione cd si chiude invece con un brano che prende il titolo dal secondo demo dei Treblinka. “The Sign of the Pentagram” è sicuramente assieme a “Where the serpents ever dwell” una delle migliori esecuzioni dell’intero full-length. Di sicura ispirazione, col suo chorus imponente, getta le basi in embrione per quello che sarà poi il sound di Clouds, disco che ha molte idee in comune con “The Sign…”. Prima di Clouds però, sarà pubblicato il full The Astral Sleep.

Senza troppi giri di parole, siamo di fronte ad un’opera storica. Pur non essendo all’altezza dei successivi masterpiece dei Tiamat, merita di essere annoverata tra quelle che decretarono le origini del Death svedese. Il suono sporco e ruvido è molto caratteristico e ci ricorda che all’epoca le band dovevano veramente fare i salti mortali per registrare le loro prime fatiche. Oggigiorno escono band che già al primo disco ci sembrano tecnicamente perfette, salvo poi deluderci alla prova del palco quando iniziano a frequentare i loro primi grossi festival. Uno studio di registrazione all’avanguardia non salva nessuno e non rende da solo grande una band, è bene ricordarlo. A chi ha la passione, consiglio di ricercare il vinile di Sumerian Cry.

Marco “Dragar” Sanco

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Tracklist:

1.    Sumerian Cry, Pt.
2.    In the Shrines of the Kingly Dead
3.    The Malicious Paradise
4.    Necrophagious Shadows
5.    Apothesis of Morbidity  
6.    Nocturnal Funeral
7.    Altar Flame  
8.    Evilized
9.    Where the Serpents Ever Dwell/Outro: Sumerian Cry, Pt. 2
10.    The Sign of the Pentagram

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