Recensione: Summon the Horder

Di Andrea Bacigalupo - 16 Agosto 2019 - 22:33
Summon the Horder
Band: Protector
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2019
Nazione:
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62

I Protector sono nati in Germania nel 1986 e sono subito entrati a far parte del movimento Thrash dell’epoca, quello dei connazionali Sodom, Destruction e Kreator tanto per fare un esempio, formato dal più duro metallo, forgiato nel fuoco delle fucine infernali sparse per la nazione teutonica.  

Pur essendo una band dotata di discreti numeri e nonostante siano riusciti a crearsi un seguito, non sono mai riusciti ad emergere del tutto, come molti loro colleghi, forse a causa della forte instabilità della formazione, che ha avuto una rotazione continua, influendo negativamente su sound e songwriting. Si pensi che, dal 1986 al 1993, anno di uscita del loro quarto album ‘Heritage’, i musicisti sono tutti cambiati. Praticamente, passati sette anni, i Protector sono un altro gruppo ma con lo stesso nome.

Nonostante il sopracitato ‘Heritage’ abbia riscosso discreti consensi rimane l’ultimo lavoro discografico della band che, nel 2003, dopo aver fatto uscire un Demo ed un paio di compilation, si scioglie.

Ma il torrente di lava incandescente del Thrash ha continuato a scorrere nelle vene di Martin Missy, non proprio uno dei fondatori dei Protector ma presente dal 1987 al 1989, che decide, nel 2011, di ridare vita al progetto chiamando a raccolta tre musicisti svedesi: Mathias Johansson, Michael Carlsson e Carl-Gustav Karlsson. Il monicker Protector (perché solo di quello, in fondo si trattava, essendo una band nuova di zecca) è di nuovo in circolazione.

Ed è con tale formazione, finalmente stabile e consolidata, che sono stati pubblicati ‘Reanimated Homunculus’ nel 2013, ‘Cursed and Cortonated’ nel 2016 e ora l’ultimo ‘Summon the Hordes’, disponibile via High Roller Records dal 26 aprile 2019.

Protector2019band

Non stiamo a girarci intorno: con ‘Summon the Hordes’ i Protector non hanno inventato nulla di nuovo; chiunque ascolti Thrash da un po’ di tempo di album così ne ha almeno una ventina infilati nella sua raccolta, tutti più o meno simili, allacciati morbosamente ai ritmi anni ’80 ma conditi con inserti al limite del Death per farli sembrare più innovativi.

Il perno principale è la velocità smodata, sul quale ruotano cambi di tempo repentini, ancora più veloci o pesantemente cadenzati, intrisi di melodia o di malvagità infernale.

La voce va dallo scream al growl alle urla da cavernicolo incazzato dall’inizio del disco alla fine, con una buona interpretazione abrasiva e furente, pur non essendo nulla di speciale.

L’uso dei blast beat o della doppia cassa è parecchio aggressivo, come, ad esempio, in ‘Steel Caravan’; gli assoli, non presenti in tutte le tracce, assumono importanza solo in pochi pezzi, come in ‘Realm of Crime’ e ‘Summon the Hordes’.

Esce un po’ dagli schemi ‘The Celtic Hammer’, cadenzata, pesante e cupa, fa ben sperare che nel prossimo futuro i Protector ragionino su un songwriting più vario, visto che, comunque, le potenzialità ci sono. Sarà una combinazione ma, a parere del sottoscritto, l’unico pezzo dell’album dove non è presente la velocità è quello che regala più emozioni.

Per il resto, la solita zuppa che però, se mangiata calda, non è sgradevole od insipida ma solo di sapore uguale alle tante altre già messe in tavola nel corso degli anni.

Concludendo, un album che si può ascoltare, onesto e senza fronzoli, ma che nulla va ad aggiungere alle centinaia di produzioni uscite in questo ultimo periodo. Sufficienza più che raggiunta, gruppo più che discreto ma speriamo che il loro percorso artistico prenda strade più ampie.     

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