Recensione: Summoning Deliverance

Di Daniele D'Adamo - 9 Settembre 2015 - 19:34
Summoning Deliverance
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2014
Nazione:
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74

Tipi strani, gli iberici Horn Of The Rhino. Sembrerebbero votati al più cavernoso dei doom ma, ogni tanto, anzi spesso, si fanno prendere dalla… schizofrenia e giù, a schiacciare con forza il pedale dell’acceleratore.

Travalicando i limiti del genere anzidetto per infilarsi con decisione nei territori del death metal. Malgrado questa… insana, irresistibile ‘voglia’, il flavour complessivo emesso dalla loro musica non lascia adito a dubbi: doom deve essere, e doom è.

Del resto, i baschi non sono proprio degli sprovveduti. Dal 2010, anno in cui si sono formati, sono stati stampati ben quattro full-length, di cui l’ultimo, per l’appunto, è questo “Summoning Deliverance”, del 2014.

Pertanto, tempo e modo per fissare, e soprattutto, mettere a fuoco con l’uso di parecchio materiale il proprio stile, i Nostri ce l’hanno avuto. Con che si può affermare, a ragion veduta, che il platter in esame non rappresenta particolari elementi di progressione e/o sperimentazione, potendosi quindi definire come il ‘vestito’ stilistico se non definitivo, quasi, della formazione spagnola.

Uno stile così multiforme all’inizio tende a confondere l’ascoltatore, intrappolato fra le maglie del death metal sfrenato di “Exvenhstench” e il doom classico di “Deliverance Prayer”, senza nascondere che – in più – song come “Grim Foreigners” potrebbero benissimo coesistere assieme alle altre in un ipotetico album più ossianico del solito degli Slayer (sic!).

Grazie, occorre sottolinearlo, al vocalist, Javier Gálvez, assai versatile e in grado di affrontare più stili vocali – growling, screaming, clean vocals – senza benché la minima indecisione, anzi con una naturalezza che, probabilmente, è quella che tiene bene assieme le canzoni del disco. Riuscendo pure, nella conclusiva e ‘sabbathiana’ “An Excess Of Faith”, a inserire un tocco di melodia, ovviamente dal gusto lisergico che, perlomeno a modo di vedere di chi scrive, completa in maniera davvero efficace “Summoning Deliverance”.  

Nel rispetto dei dettami stilistici del genere, parecchi brani oltrepassano i cinque minuti di durata; senza che però compaiano segni di stanchezza o di noia. Gli Horn Of The Rhino, facendo fede alla leggenda sull’azione psicotropa della polvere dei corni di rinoceronte, riescono sempre e comunque a tirare fuori dal cilindro qualche soluzione desueta, interessante e degna di menzione.

Il tutto, nel costante mood asciutto della musica, che rimanda a visioni oniriche ricche di colorazioni rosse, deserti sabbiosi, riti pagani, grotte e anfratti caldi e irraggiungibili se non appunto, viaggiando con “Summoning Deliverance”.

Prova più che buona, quindi, per una band solida, dalle idee chiare e foriera di chissà quali altre nuove idee, per il futuro.

Daniele D’Adamo

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