Recensione: Sundowners
Nati nel 2000 dall’intesa tra il chitarrista Paul Mahon e il bassista Micky Waters, già compagni di scuola, che reclutano il batterista James Heatley e il cantante Cormac Nelson, il gruppo nordirlandese The Answer debutta nel 2006 con l’esplosivo “Rise” che fa loro guadagnare grande visibilità.
Pionieri del revival zeppeliniano, che oggi vede negli sfacciati Greta Van Fleet la band più (ingiustamente) celebrata, la band giunge alla settima uscita discografica intitolata “Sundowners”, prodotta e mixata da Dan Weller (Enter Shikari, Bury Tomorrow), a distanza di sette anni da “Solas”. La lunga pausa di riflessione è servita alla band per recuperare l’energia creativa e ritrovare la bussola dopo le riflessive e disorientanti sperimentazioni folk/acustiche del precedente album che segnava l’abbandono dello stile incendiario che aveva caratterizzato l’anteriore produzione.
“Sundowners” segna il ritorno alla grande dei The Answer che riescono ad amalgamare, a piedi ben piantati nella tradizione anni ‘70, diversi generi musicali (rock, blues, soul, southern, stoner e tanto altro), utilizzando sonorità al passo con i tempi.
Nella titletrack “Sundowners”, che apre e detiene il record di durata dell’album, retta da una sezione ritmica ipnotizzante e un riff essenziale, Cormac riesce ad evocare e far convivere per oltre sei minuti Bono di “Bullet The Blue Sky” con Rober Plant.
Segue “Blood Brother” con un riff alla Queen of the Stone Age e un ritornello dal sapore soul che rende impossibile non battere il piede per tenere il tempo.
Non dispiace neppure la seguente “California Rust” in cui l’hard rock classico settantiano la fa da padrone per cedere solo parzialmente il passo nella decisa “Want you to love me” che non lesina abbondanti dosi di Hammond su un altro riff stoner.
“Oh Cherry” è un brano da leccarsi le dita, dinamico e aggressivo, in cui Cormac concede, in una interpretazione alla Paul Rodger, un piccolo cameo a Jim Morrison.
Caratterizzato da fraseggi di armonica, “No Salvation” è un discreto brano mid tempo con cori pop alla U2 che si contrappongno alla ruvida interpretazione rock.
Infuocate risultano le due successive tracce “Cold Heart” e “All Together” di hard rock semplice e diretto, targato Free, infarcite da ammiccanti coretti.
Nella scia, “Livin’ on the Line”, di immediata assimilazione.
Mentre “Get back on it” strizza l’occhio al funky, il brano conclusivo “Always allright” è un brano sornione alla Rod Steward che i The Answer concludono con una coda in stile gospel, tanto per non farsi mancare nulla.
Che dire… il gruppo risulta più che mai affiatato e in forma smagliante.
L’album è un lavoro gradevole, vario, interessante e mai noioso in cui è possibile riconoscere espressi richiami agli stili e alle sonorità di più artisti e gruppi ma senza trascendere in alcuna scimmiottatura.
Alla domanda “Si può con una interpretazione personale riuscire a dare una patina di nuovo al glorioso patrimonio musicale del passato?”
“Sundowners” è la risposta.
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