Recensione: Super 90′
È trascorso un solo anno dal loro debutto e i francesi Kadinja sono tornati in studio per registrare un disco che non rappresenta soltanto un seguito, ma riveste il delicato compito di forgiare un’identità più precisa ad una band che ha tutte le capacità per farlo. Con questi presupposti, l’ascolto di Super 90’ si fa spazio tra una marea di proposte più o meno affini e dove i transalpini mescolano in maniera abbastanza omogenea sonorità tradizionalmente djent con un piglio progressive, ci servono 11 canzoni per circa 50 minuti di nuova musica. Impossibile non lodare la produzione cristallina, in grado di esaltare la profondità delle chitarre e della voce, in grado di alternare tra parti pulite e scream (più o meno gravi), mentre la sezione ritmica, seppure faccia il suo sporco lavoro, sembra esser lasciata un po’ indietro e questo penalizza almeno in parte il risultato finale del disco. Facendo i cosiddetti “conti della serva”, i Kadinja suonano per un buon 80% djent, 15% progressive chiaramente non Theateriano e 5% metalcore, soprattutto per quanto riguarda House Of Cards.
Se da una parte c’è una notevole padronanza del proprio strumento, il songwriting non è particolarmente ispirato e non sembra riuscire a inserire niente di nuovo in un genere che fa delle contaminazioni uno dei suoi principi fondamentali. Durante l’ascolto capita spesso di dare un frenetico sguardo al timing e chiederci se forse i nostri non si siano dilungati troppo, quando 8 o 9 canzoni sarebbero sicuramente bastate. Tralasciamo la conclusiva e pseudo-strumentale Avec Tout Mon Amour, o l’acustica Episteme, per non parlare dell’altrettanto inutilmente prolissa Veronique. Gli episodi che alla fine dell’ascolto spiccano maggiormente non sono per forza i migliori, ma quelli che in realtà riescono ad amalgamarsi meglio nel contesto generale. In questo caso, l’opener Empire e Icon, la seconda forte di un ritornello che ti entra subito in testa e di una tessitura più progressive rispetto al resto del disco, sono le due tracce che consentono a Super 90’ – nonostante tutto – di avere senso. Già, nonostante tutto, perché se non ci fosse anche l’esplosiva semplicità di Strive, forse sarei dovuto essere anche più severo con questo album, pensando che se il gruppo si fosse dato più tempo e avesse maturato meglio la propria proposta stilistica, saremmo qui a parlare di un lavoro ben più lontano dalla mediocrità.
Super 90’ non è un disco malvagio, assolutamente no. Ma il fatto di non riuscire a rompere quella fredda barriera di indifferenza e quel pizzico di noia che suscita cercando di arrivare al suo epilogo, fanno pesare un album troppo lungo, omogeneo ma al tempo stesso incapace di mettere a nudo le vere intenzioni della band, sicuramente con molta strada davanti a sé e con tutte le possibilità di imboccare il sentiero migliore ed esprimere al meglio le idee che vagano in quel pentolone di muri chitarristici, ritornelli melodici e contaminazioni ambient che se usate in maniera più efficace darebbero un vero valore aggiunto a quello che speriamo possa essere un capitolo ben più convincente per i Kadinja. Non correrete dal vostro negozio di dischi preferito per comprarlo, aspettandovi di trovare una valida alternativa a TesseracT, Unprocessed e Periphery, ma se volete dargli una possibilità, non farete nulla di troppo sbagliato. Promossi con debito, ma ci aspettiamo di più.
Brani chiave: Empire / Icon / Strive