Recensione: Surveillance Orgy
Dalla Svezia arriva un’altra one-man band, chiamata Februus e che, con “Surveillance Orgy” compie oggi il suo primo passo nel mondo discografico.
Il tempo passa, e nel death metal questo genere di act sta prendendo sempre più piede. Certo, la quantità che si getta nel black metal è irraggiungibile, tuttavia la moderna tecnologia spinge sempre più a uscire dal guscio musicisti che suonino in casa o in studio, da soli. Basti pensare alla batteria. IA o no, il suono di una drum machine è divenuto formalmente indistinguibile dall’intervento diretto dell’uomo. Ovviamente il programmatore deve essere molto ben preparato nella sua opera, il che, guarda caso, è proprio ciò che accade per Andreas Karlsson, il tuttofare.
Il quale, oltre a conoscere come si deve la teoria della batteria, mostra un’eccellente capacità esecutiva sia per la chitarra, sia per il basso, sia per la voce. Soprattutto quest’ultima si apprezza per un growling profondo, rabbioso sì da renderlo assolutamente inintelligibile. Alternandolo, quando capita, da harsh vocals aggressive all’inverosimile. Un feroce condottiero che assalta gli apparati uditivi degli appassionati del genere, aiutandosi da una grandinata di blast-beast assolutamente devastante.
Il sound, tuttavia, grazie a un riffing monumentale e assai vario, si mostra multiforme, cangiante, dissonante, soprattutto nelle sezioni meramente strumentali nelle quali il Nostro dà bella mostra di sé, dando vita a uno stile tutto suo ma ben definito sin nelle propaggini più allungate. Uno stile che muta al mutare dei brani e all’interno di essi, i quali presentano un’estesa lunghezza che parte dai tre minuti di ‘The Price of Enterprice’ sino ad arrivare ai quattordici minuti di follia scardinatrice di ‘Resignation Syndrome’.
Acchetato il progettato marasma generale, proprio la su menzionata ‘The Price of Enterprice’ lascia intravedere l’azzurro del cielo fra una nube carica di neve e l’altra. Sì, perché improvvisamente e, inaspettatamente, si apre un break ambient fortemente armonico. Non si tratta di melodia vera e propria bensì un qualcosa di accordato che dà piacere all’orecchio e alla sua struttura. Qui, addirittura, fanno capolino le clean vocals, sebbene emesse a tutta forza. E qui, di nuovo, ci sono le impressionanti accelerazioni del ritmo, che raggiunge valori estremi di BPM a dimostrare che Februus è, prima di tutto, un progetto di death metal.
Sperimentale, questo sì, ma pur sempre nel territorio del death metal. Un saggio in cui sono vergate le parole per spiegare come debba essere eseguita la miglior antitesi fra momenti quasi atmosferici, e furibonde scorribande devastatrici. Un leitmotiv che suggerisce a Karlsson, in sottofondo, di come debba portare avanti il suo progetto musicale.
E Karlsson esegue, componendo brani come detto dalla lunghezza fuori norma, in cui avviene praticamente di tutto. Una volta inquadrato lo stile del disco, diviene relativamente semplice districarsi fra le migliaia di note che circolano in ciascuna song. È chiaro che è impossibile mandare a memoria tracce come ‘Resignation Syndrome’, coraggiosissima suite finale che fa un po’ da cartina al tornasole di quello che si trova nell’LP.
E cosa si trova?
Apparentemente, a un ascolto superficiale, solo caos. Reggendo alla voglia di lasciar perdere tutto per cercare di raggiungere l’anima del platter, ecco che il ridetto caos si trasforma in un album di precise idee, di lucide elucubrazioni, di convincenti peregrinazioni, di arditi saggi musicali. Le canzoni sviluppano tutto ciò che è sviluppabile in ambito death metal, anche se – come detto – sperimentale.
Solo una mente aperta riuscirà a percepire quello che balugina nel cervello di Karlsson e, con molta pazienza, farlo proprio. Gli altri, lascino perdere.
Daniele “dani66” D’Adamo