Recensione: Surviving the Law

Di Manuel Gregorin - 15 Aprile 2022 - 0:01
Surviving the Law
Band: Nazareth
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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76

Ritornano i Nazareth.
O sarebbe meglio dire che, in realtà, non se ne sono mai andati: infatti è da oltre cinquant’anni che gli storici rocker scozzesi calcano le scene e pare proprio che abbiano intenzione di tenerci compagnia ancora per un po’. Certo che di acqua sotto i ponti (e whiskey giù per la gola) ne è passata dalla loro nascita datata 1968. Dopo l’abbandono nel 2014 per motivi di salute dello storico vocalist Dan McCafferty, ormai della formazione originale è rimasto solo il bassista Pete Agnew che porta avanti una versione un po’ ringiovanita dei Nazareth grazie all’arrivo del nuovo singer Carl Sentance (ex-Persian Risk, Don Airey, Geezer Butler band e Krokus).

Prodotto da Yann Rouiller presso gli studi Sub Station in Scozia, ecco così arrivare il nuovo “Surviving The Law“, lavoro che vede la formazione invariata dal precedente “Tattooed On My Brain” del 2018, con Jimmy Murrison e Lee Agnew (batterista dalla morte di Darrel Sweet nel 1999 nonché figlio di Pete) che vanno ad aggiungersi ad Agnew senior e Sentance.

Si parte in quarta con l’hard rock ipnotico di “Strange Days“, brano che anticipa l’uscita di questo album con un videoclip promozionale a cui fa seguito “You Gotta Pass It Around“: un mid tempo dalle ritmiche cadenzate con richiami ai Led Zeppelin di “Kashmir”. “Runaway“, l’altra anteprima di questo “Surviving The Law“, si mantiene sulle coordinate del hard rock più classico. In “Better Leave It Out” le atmosfere sono un po’ più ragionate con Carl Sentance che sfodera una buona prestazione vocale supportato della buona struttura ritmica dei due Agnew. I Nazareth non hanno certo intenzione di diventare la cover band di se stessi e lo si capisce da questo nuovo lavoro con cui la formazione di Dunfermline cerca di proporre composizioni fresche ed ispirate con un suono che pur essendo ben radicato nella tradizione della compagine britannica non risulta mai obsoleto e fuori posto. Ne è un esempio “Falling In Love” con un suono ruvido tipico degli anni 70 ma con il tiro moderno, oppure “Psycho Skyes” con marcate sonorità blues ed un cantato coinvolgente di Sentence. Man mano che il disco scorre trova il suo momento di gloria anche Jimmy Murrison che ci delizia con riff ed assoli di pregevole fattura come quello di “Sweet Kiss” o la ritmata “Waiting For The World“.

Scorrendo nell’ascolto di questo disco ci imbattiamo in “Ciggies And Booze” che con i suoi riff di chitarra ricorda gli AC/DC di pezzi come “Down Payment Blues” o “Dirty Deeds Done Dirt Cheap“, mentre su “Love Breaks” pare di avvertire delle atmosfere riconducibili ad un certo stoner. Una varietà di sfumature dovute al fatto che tutti i membri della band abbiano partecipato alla stesura di questo nuovo capitolo targato Nazareth. Fatto questo che conferma come non ci troviamo di fronte ad una formazione storica con un solo fondatore contornato da dei turnisti, ma di una vera band nella quale tutti gli elementi sono coinvolti. Ma d’altronde tutti i musicisti che accompagnano Pete Agnew l’atmosfera Nazareth l’hanno respirata ben a fondo: Lee oltre che ad essere figlio dello storico fondatore ha fatto per anni il tecnico della batteria della band stessa, Jimmy Murrison invece essendo in formazione dal 1994 risulta ad oggi il chitarrista più longevo nella storia della band. Infine Sentence pur essendo quello di più recente assunzione può vantare collaborazioni di spessore durante la sua carriera che ne fanno un musicista comunque di rodata esperienza. Tutte caratteristiche che non possono che giovare allo stato di salute del combo scozzese.

Let The Whiskey Flow” si lascia gustare proprio come un buon liquore d’annata. Con “Sinner” si pigia di più sull’acceleratore andando a sfornare un buon hard rock ritmato. “You Made Me” è infine il brano con cui i Nazareth si congedano dall’ascoltatore: trattasi di un blues lento dove un organo hammond in primo piano richiama alla mente quanto fatto dai Doors sul loro disco L.A. Woman.

Surviving The Law” ci consegna una band con ancora qualcosa da dire. Certo sono ormai lontani i tempi di “Loud ‘N’ Proud“, “Expect No Mercy” o “Hair Of The Dog”, ma questo è noto a tutti. E in fondo non lo pretende nessuno. In effetti, un altro buon tassello che si aggiunge alla gloriosa carriera della storica band, per nulla intenzionata ad appendere gli strumenti al chiodo.

Meglio così.
Il vecchio leone, anche se con la criniera un po’ sfoltita, continua a ruggire e a mordere ancora.

 

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