Recensione: Survivors

Di Filippo Benedetto - 23 Dicembre 2003 - 0:00
Survivors
Band: Samson
Etichetta:
Genere:
Anno: 1979
Nazione:
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78

Parlare dei Samson come la band di Bruce Dickinson sarebbe riduttivo, oltre che inesatto. La band nacque prima di tutto da un’idea di Paul Samson, chitarrista di talento nonché buon cantante. La band si conquistò una buona fetta di popolarità girando in lungo e in largo i pub londinesi in odore d’hard rock e riuscì ad avere un contratto discografico che a tempo record permise al combo di registrare il suo primo album. L’album vide messa alla prova una line up di buon livello tecnico : Paul Samson ( voce, chitarra ritmica e solista),  Barry “Thunderstick” Graham  (batteria) e Chris Aylmer (basso). Il disco venne intitolato “Survivors” e destò un certo interesse nel circuito underground metal del tempo. In questa recensione descriveremo nel dettaglio proprio “Survivors”, disco che già dalla copertina si dimostra un lavoro particolare ed interessante. Infatti questa è disegnata a mano e ritrae i membri della band al completo. L’immagine dei quattro risalta su tutto il resto, evidenziandoli in un ambiente spoglio, desertico e illuminato da una raggiante alba. Ma attenzione: emblematica del significato del titolo è proprio l’immagine dei quattro in piedi sopra un cumulo di cadaveri ammassati l’uno sopra l’altro. Da qui il titolo, appunto, “Survivors”.
Ma passiamo all’analisi delle song di questo platter. Il disco si apre in modo molto diretto e potente, con un riff su tonalità basse e una distorsione decisamente grezza. Si tratta di “It’s not easy as it seams”, brano d’apertura. Il pezzo ha un incedere cupo e la voce di Paul Samson, qui alla lead vocals, è aggressiva al punto giusto. Molto bene in evidenza la batteria di Thunderstick che, mantenendo le ritmiche su livelli sostenuti, accresce la forza di impatto generale della track. Con la seguente “I wish I ad the saddle of a schoolgirls bike” la band rallenta le ritmiche e sforna una song giocata su riff quasi blueseggianti. Molto buono il gioco di chitarre orchestrato da Paul che, con brevi incursioni armoniche, aggiunge gradevolezza al brano. L’unico limite della song è forse l’eccessiva ripetività del refrain e l’assenza di un assolo che ne smorzi la monotonia. “Big Brother” , terza track del platter, mostra nuovamente il combo perfettamente a suo agio con ritmiche sostenute e riffs trascinanti decisamente “catchy”. Il pezzo mostra vocals molto ispirate e perfettamente in linea con il “groove” complessivo della song che si snoda attraverso lunghe parti strumentali per una durata complessiva di circa sette minuti. L’episodio migliore del disco lo possiamo gustare con la successiva “Tomorrow or Yesterday”, track nella quale possiamo notare in tutta evidenza la versatilità del combo britannico. Infatti il pezzo inizia con un dolce e malinconico fraseggio eseguito per pianoforte, davvero molto gradevole e suggestivo. In questo brano Paul Samson mostra, sorprendentemente e forse nel migliore dei modi,  una buona dote vocale oltre che “interpretativa”. Molto convincente è poi l’accellerata centrale del pezzo nella quale i vari elementi del gruppo sembra quasi gareggino tra di loro in una sorta di “cavalcata sonora”. Il testo, inoltre, è interessante mostrando una non scontata vena “intimista” del gruppo . Con “Koz” la band si cimenta nella esecuzione di un brano strumentale. Colpisce particolarmente, ascoltando con attenzione il pezzo, il forte ascendente che i Deep Purple hanno probabilmente avuto su Paul Samson e soci. La track infatti pone in primo piano non solo le chitarre ritmiche ma anche l’uso dell’hammond riecheggiando, in maniera discreta, lo stile del combo capitanato da Ian Gillan. “Six Foot Under” aggredisce l’orecchio dell’ascoltatore nuovamente con riffs “efficaci” nell’impostazione e perfettamente sincronizzati con la sezione ritmica basso/batteria. Nonostante tutto questo la song non ha nè la struttura classica di un brano heavy metal, né la rudezza di un brano hard rock bensì, semplicemente, il groove di un un pezzo rock’n’roll. La penultima song, “Inside Out”, di nuovo fa riemergere la vena hard rock della band con espliciti richiami al Purple-sound. Qui è come sempre bene in evidenza l’uso dell’hammond, di un certo modo di “sostenere” le ritmiche e anche il cantato di Paul, a tratti, sembra fare il verso a Ian Gillan. Il combo, però, non si ferma a facili quanto banali riproposizioni del “già detto” e trova anche l’occasione per lasciarsi andare a divagazioni “psichedeliche” con risultati soddisfacenti. Il disco si chiude con una sorta di omaggio ad un certo rock anni 70 venato di blues racchiuso nei bei riffs di “Wrong Side of Time”. Il brano ha un incedere lento e la batteria segna il tempo in maniera quasi discreta lasciando che la chitarra ritmica risulti in primo piano. Anche in questo pezzo Paul Samson  dimostra buone capacità “interpretative”, cogliendo bene, nel cantato,  lo spirito malinconico insito nella song.
In sostanza questo disco, nonostante non mostri una sola soluzione musicale in ogni suo pezzo, va considerato uno dei prodotti di maggiore importanza nell’ambito della cosiddetta “New Wave of British Heavy Metal”. Averlo nella propria discografia, se non altro, accrescerebbe le vostre conoscenze sulla complessità di questo fenomeno musicale.

Tracklist:

1.It’s Not As Easy As It Seams
2.I Wish I Was The Saddle Of A Schoolgirls Bike
3.Big Brother
4.Tomorrow Or Yesterday
5.Koz
6.Six Foot Under
7.Inside Out
8.Wrong Side Of Time

Line up:
Paul Samson:Lead Vocals & Guitars
Chris Aylmer: Bass
Thunderstick (Barry Graham): Drums

 

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