Recensione: Suspended Animation
Mai gestazione di un disco fu più complicata. Quest’album, che solo da poco si è definito nel suo titolo attuale “Suspended Animation”, è in divenire da prima del 2001. Allora infatti John Petrucci partecipò ad alcune date sul continente americano del G3, portando in tourneé certi brani originali effettivamente contenuti in questo platter. Cominciò così a circolare la voce di un suo possibile esordio solista. Petrucci è uno dei pochissimi musicisti che è entrato nell’Empireo degli axemen senza mai essere stato un solista vero e proprio, piuttosto grazie alla fama guadagnatasi da protagonista nei famigerati Dream Theater. E’ inutile dire che ormai è una delle icone di riferimento nell’ambito della chitarra rock-metal. Però in molti, ed io tra questi, lo aspettavano al varco per capire il valore del Petrucci solista, messo da solo difronte alla composizione strumentale, senza appigli vocali o contributi compositivi di altri invadenti musicisti. E il chitarrista di Long Island dà in pasto a noi fiere quest’album. Dove suona bene. E suona veramente. A differenza infatti di altri blasonati esponenti dello strumento che ormai, canticchiando qua e là, utilizzando sintetizzatori e quant’altro, servendosi di tecniche non propriamente ortodosse, sembrano quasi aver rinunciato a suonare la chitarra elettrica, Petrucci tira fuori un album quasi anacronistico, in pieno stile anni ’80, denso di note suonate ma non scevro di senso della melodia. Superfluo dire che il chitarrista appare in quest’ occasione impeccabile dal punto di vista tecnico. Molto più simile ad una macchina che ad un uomo. Pochi possono vantare oggi una plettrata così veloce e così pulita. Ma questo ci dovrebbe poco impressionare, in quanto già stra-noto.
In “Suspended Animation” troviamo due grandi musicisti, insieme a Petrucci, non proprio conosciuti dal pubblico metal, cioè Dave LaRue (Dixie Dregs, Steve Morse Band) al basso e Dave DiCenso (Jon Finn Group, Cro-Magnon, Hiromi) alla batteria. La loro scelta, più che ad una comunanza di genere musicale suonato, mi sembra dettata da una sorta di tributo ai chitarristi che forse di più in assoluto hanno influenzato John nel corso della sua carriera. Mi riferisco a Steve Morse, che anche nell’approccio di esecuzione richiama molto Petrucci, e Jon Finn, che è stato suo insegnante a Berklee. Inevitabilmente echi di queste influenze si ritrovano disseminati un pò in tutto l’ album.
La prima traccia è “Jaws Of Life”, la più metal-oriented di tutto il platter; con i suoi riffs taglienti e pesanti sembrerebbe quasi tratta dall’ultimo disco dei Dream Theater, non fosse altro che per la mancanza di Mike Portnoy, che si avverte alquanto ma non è un male in questo caso, tutt’altro. Mi spiego meglio: quando si deve mettere in evidenza uno strumento, la chitarra appunto, c’è bisogno di un batterista che sappia stare al suo posto. DiCenso assolve egregiamente il suo compito, per tutta la durata dei sessanta e passa minuti, capace di scandire qualsiasi tempo senza strafare, riuscendo ad essere contemporaneamente semplice ma complesso nella sua esecuzione, con un drumming molto caratteristico. Poi si passa a “Glasgow Kiss”, già proposta in tour col G3 ma ri-arrangiata per l’occasione. Solo la presenza della chitarra ritmica già dà un altro colore, però pure molte linee solistiche sono cambiate in meglio. A proposito aggiungo che l’arrangiamento è ridotto all’ osso in tutto l’album, cioè al massimo troviamo in alcuni sporadici punti tre chitarre sovra-incise, altrimenti ce n’è una sola dominante, con o senza ritmica d’accompagnamento. Scelta condivisibile. “Tunnel Vision” è un pezzo piuttosto scialbo, eccetto che per le parti solistiche. Petrucci, durante la realizzazione del disco, parlava di shockanti influenze techno che avevano spaventato i puristi: ecco svelato l’ arcano, son tutte concentrate qui sottoforma di campionamenti che spezzano il regolare scorrere del brano. La traccia seguente, “Wishful Thinking”, vede Petrucci in veste più intimistica che velocistica, molto attento agli accenti e agli abbellimenti del suo fraseggio solista. Il titolo, pensando che sia vero perché lo si desidera nell’ idioma anglofono, mi ha fatto riflettere sulle assonanze qui presenti con la musica di Steve Morse e mi ha portato a domandarmi se io le riscontri perché vorrei che in realtà fosse veramente così, nel senso che la considero di per sé una nobile influenza ed in tanti anni che ascolto questo tipo di musica ho trovato ben pochi artisti capaci di riprendere adeguatamente gli assiomi morsiani: sia il riff portante di “Wishful Thinking”, sia il solo terminale nell’outro senza accompagnamento, che cresce progressivamente nella gestione della sua dinamica, mi fanno sovvenire queste impressioni. Obbiettivamente tali impressioni sono fondate anche sul brano “Damage Control”, sia per richiami di titolo (“Collateral Damage”, “Structural Damage”), sia per come è strutturato il pezzo stesso. Lo stacco verso la metà e la ripresa susseguente con il cambio di ritmo, quasi che iniziasse una track diversa, rimandano fortemente al chitarrista dell’Ohio; e il solo di LaRue incastonato non fa altro che rafforzare tale rimando. Ovviamente, per sgombrare il campo dagli equivoci, non sto parlando di plagio ma semplicemente di ispirazione orientata secondo un preciso verso. C’è una traccia, però, che rompe l’uniformità generale dell’ album. Sto parlando di “Curve”. L’autore qui, a mio giudizio, eccede nel voler riprendere il Joe Satriani che fu, e l’ispirazione sconfina nella sterile imitazione. Questo accade probabilmente perché lo stile di Satriani gli appartiene molto di meno di quello di Morse, e nell’interpretare questo pezzo non riesce ad essere autentico, sembra solo che stia risuonando qualcosa tratto da “Surfing With The Alien”. Petrucci si riprende subito con la successiva “Lost Without You”. Vale lo stesso discorso fatto per “Glasgow Kiss”. Anche questa song è ri-arrangiata ottimamente rispetto alla precedente versione, con un arpeggio di accompagnamento veramente azzeccato nella scelta della sequenza degli accordi. E’ un lungo solo ininterrotto solenne e struggente impreziosito dal solo fretless di Dave LaRue. Si chiude con “Animate-Inanimate”: undici minuti che non stancano mai, sempre cangianti per armonie e ritmiche, e che riescono ad evidenziare tutta l’attitudine progressiva di John Petrucci nel comporre un lungo pezzo strumentale.
Produzione affidata al solito Kevin Shirley, ottimamente curata sotto ogni punto di vista, suoni cristallini, fin troppo puliti, livelli dei diversi strumenti regolati e miscelati insieme in maniera eccellente. Curiosamente sembrerebbe esserci una traccia in più rispetto alla tracklist della copia dell’album in mio possesso. Ma non si tratta di una ghost-track, semplicemente ho appreso che trattasi di un refuso verificatosi non so come ad un qualche livello di produzione per cui “Curve” risulta spezzata in due tronconi.
“Suspended Animation”, l’esordio di John Petrucci, è in definitiva un buon album che ce lo consegna in una veste insolita, ma non troppo dissimile, rispetto al consueto. Non so quale sviluppo possa avere la sua carriera come solista, ma se un domani il sipario dovesse definitivamente calare sul palcoscenico della creatività del Teatro Del Sogno, questo disco rappresenta una buona credenziale per sviluppare qualcosa di diverso, ugualmente originale, e soprattutto propriamente sua, senza ingerenze di sorta. Alla fine John Petrucci si è dimostrato per quello che è: un ottimo chitarrista. E non solo dal punto di vista puramente esecutivo. Per concludere aggiungo che quest’album, per scelta del suo autore, è reperibile esclusivamente tramite il suo stesso sito web ufficiale. Quindi non lo troverete nel negozio di fiducia.
Tracklist:
- Jaws Of Life
- Glasgow Kiss
- Tunnel Vision
- Wishful Thinking
- Damage Control
- Curve
- Lost Without You
- Animate-Inanimate