Recensione: Suspended At Aphelion
Dopo tanti anni di galleggiamento instabile nelle sabbie mobili dell’underground, l’ottimo Vast Oceans Lachrymose del 2009 consentì ai While Heaven Wept di giungere finalmente alla notorietà internazionale, premiando il credo ostinato di Tom Philipps, nocchiere della band lungo i marosi di tutta la sua storia. Sull’onda lunga di quel successo, il gruppo pubblica ora il terzo disco (più un live) nel giro di un lustro, a tre anni dal precedente, valido ma inferiore al predecessore, Fear of Infinity.
Suspended At Aphelion, dunque, rappresenta un momento fondamentale per la band, chiamata a una prova d’appello che ne confermi le capacità, o la rituffi nell’anonimato, relegando Vast Oceans Lachrymose al ruolo di episodio tanto notevole quanto isolato nella carriera degli statunitensi.
Il gruppo ha sempre proposto un doom progressive epico di atmosfera, caratterizzato da belle melodie e arrangiamenti capaci di valorizzare una scrittura variegata e mai banale, che ha avuto il solo difetto di risultare a tratti pachidermica e di fruizione un poco difficile. Ma questo Suspended At Aphelion ha non solo il pregio di mantenere intatti tutti gli aspetti positivi che avevano fatto di Vast Oceans Lachrymose un piccolo classico dei tempi moderni, ma sa andare oltre, riuscendo nell’impresa di illuminarne le migliori caratteristiche, al contempo smussandone le poche asperità.
La band ha leggermente virato il timone, puntando maggiormente sul proprio lato epic progressive e lasciando in secondo piano i pesanti riff dilatati tipici del doom. Il risultato è eccellente. Il disco ha una qualità media altissima, raggiungendo in alcuni episodi vette davvero poco frequentate negli ultimi tempi. Il songwriting pare essersi snellito, senza per questo intaccare la varietà fortemente progressiva delle composizioni degli americani. Alcune melodie e tutti gli arrangiamenti sono propri di una band estremamente sicura e volenterosa di realizzare un prodotto sopra le righe. Avere affidato le parti di batteria a Mark Zonder (Fates Warning, Warlord: due nomi che sono una garanzia) si è rivelata una scelta vincente: Zonder illumina letteralmente ogni composizione con uno stile distintivo che sembra far dialogare le melodie con pelli e piatti.
Il disco si apre con Introspectus, che pare una intro, ma non è. Trattasi di un morbido pezzo strumentale, fatto di strumenti acustici, ricco di un tono da colonna sonora di stile, senza nulla spartire con certe becere musicone altisonanti che aprono tanti dei nostri dischi.
Icarus and I è un capolavoro, una canzone dalla struttura semplice e al contempo varia, che scaturisce in un’epica melodia d’apertura finale tra gli Ayreon e i Dream Theater del periodo d’oro. Se certo progressive metal può risultare stucchevole, nella ricerca smaniosa della melodia vincente che richiami un qualsiasi solco di Images and Words, Icarus and I vince proprio in virtù dell’assenza di ogni forzatura compositiva in funzione di una sensazione generale di semplicità. Un grande pezzo.
Comincia piano Ardor e cresce, cresce, sguscia da se stessa, per giungere infine al porto sepolto di un chorus che ritorna ad Icarus and I tra gli applausi di chi ha amato un genere che pareva aver perduto la propria capacità di emozionare, sommerso tra distorsioni e tecnicismi. Zonder impreziosisce pesantemente la canzone, ergendola molto al di sopra della media attuale del mercato. Quando un batterista fa la differenza.
Heartburnst è toccante, melliflua, commovente. La voce di Rain Irving si staglia calda su un tappeto di pianoforte che si trasforma in una ballad scevra di ogni banalita.
E qui si conclude la prima parte del disco, che è una composizione unica, le cui singole parti non andrebbero ascoltate isolatamente, perché davvero la parte è funzione del tutto, e viceversa, come è tipico del vero progressive.
La strumentale Indifference Turned Paralysis apre la seconda sezione del disco, anch’essa una lunga suite divisa in porzioni ottimamente amalgamate tra loro. Indifference mette in luce la tecnica di Zonder, mattatore lungo i quattro minuti del pezzo, che vedono alternarsi una serie di variazioni su un tema ripetuto, che ancora una volta finisce in crescendo. Alla furia conclusiva di Indifference fa da contraltare la pacata melodia di The Memory Of Bleeding, che richiama un po’ troppo gli Into Eternity, risultando l’episodio meno ispirato del lotto.
Segue l’attacco frontale di Souls In Permafrost, un buon pezzo di tipico prog metal che, pur di indubbio valore, si perde un po’, più in virtù dei meriti di quanto lo precede e lo segue nei solchi di Suspended At Aphelion che a causa di demeriti propri. Searching The Stars non è altro che la coda di Souls In Permafrost e con essa condivide pregi e difetti.
Quindi, arriva Victor Arduini. Chitarra sui primi due dischi dei Fates Warning (trent’anni fa o giù di lì), Arduini corona il sogno del prog metaller che lo ascolta suonare sulla base percussiva di Zonder. Il suo assolo si spalma tra Reminescence Of Strangers e la successiva Lifelines Lost: ed è pura magia! Il tocco è sopraffino, il senso della melodia unico, il gusto esecutivo raro. Arduini e Zonder conducono per mano le composizioni di Tom Philipps verso un finale epico che non può non richiamare le conclusioni “aperte” e ariose di pezzi come A Change Of Seasons o Learning To Live, invidiandole solo quel poco che la patina della storia rende impossibile non ci sia.
Fidatevi. Suspended At Aphelion è un gran disco, capace d’incontrare freschezza e varietà, emozione e tecnica, epicità e delicatezza. Tom Phillips ha finalmente centrato il bersaglio grosso, un risultato che la sua tenacia ultra ventennale merita tutto. Mark Zonder, dal canto suo, conferma la costante qualità dei prodotti a cui presta il proprio supporto, in un circolo virtuoso che si instaura tra il songwriting della band e le bacchette del batterista americano. L’assolo conclusivo di Arduini, poi, è il timbro prezioso che suggella l’opera e, mi auguro, le darà vita futura.
Escono ancora dischi del genere. Lo scrivo con piacere.
Discutine sulla pagina dedicata nel forum.